JEAN-MARIE LE PEN – UN UOMO DEL SUO TEMPO (di Matteo Fais)
Nessun antenato potrebbe essere salvato dallo sguardo e dalla prospettiva del nipote. Non certo oggigiorno, con un’antropologia che muta troppo in fretta di generazione in generazione, senza che vi sia più una trasmissione di sapere tra genitori e figli, nel tempo – non per niente – della morte dei padri.
Pertanto, parlando del fondatore del Front National, Jean-Marie Le Pen, sarebbe folle pensare di poter sottoscrivere tutte le sue posizioni, chiaramente peculiari di un uomo del Novecento solo incidentalmente finito, per anzianità, nel Nuovo Millennio. È in tal senso, infatti, che va inquadrata anche la sacrosanta presa di distanza della figlia, Marine, culminata, nel 2015, con il parricidio che ne ha decretato l’espulsione dal partito da lui stesso fondato nel 1972.
L’uomo, nato nel 1928, era chiaramente un provocatore, nonché – per dirla con una punta di simpatia – un mezzo pazzo scellerato. Le sue posizioni sull’Olocausto e le camere a gas sono intollerabili e inammissibili – pure idiozie, retaggio di un certo periodo storico purtroppo mai superato dal politico in questione.
Cionondimeno Le Pen, diversamente da tanti altri – tutti -, avendo particolarmente a cuore la sua terra – fino allo sciovinismo -, aveva ben inteso la brutta china presa dal Paese a seguito dei processi d’immigrazione incontrollata, portati avanti dalla Sinistra a mezzo della terribile arma del senso di colpa per il passato colonialista. In verità, non è assurdo sentirgli dire, in certi vecchi video, di essere tutt’altro che un razzista: voler salvaguardare la propria identità non significa desiderare l’annientamento degli altri popoli. Semplicemente, la gauche ambisce – e ci sta riuscendo – alla scomparsa di ogni popolo europeo con una sua integrità culturale e genetica – per quanto quest’espressione sia certo controversa.
Anche questa passione per un’idea un po’ âgée di Francia, diciamo “tutta francese”, senza tanta diversità, va collocata nel senso di una grandeur andata avanti per secoli e di cui lui era forse uno degli ultimi rappresentanti. Che una simile prospettiva faccia sorridere un giovane nato nel 2000 è abbastanza scontato. Non potrebbe essere altrimenti. È un po’ l’effetto che fa guardare certe foto degli avi, pensando “ma come cazzo vestivano”.
Del resto, seppur segretamente e di nascosto, nella terra d’oltralpe è pieno di gente che rimpiange i bei tempi andati. L’unico a dirlo, per quanto in modo un po’ obliquo, ma non per questo meno brutale, è Houellebecq, il più famoso scrittore francese, il quale infatti, come si evince da più passi dell’opera, certo non ama la svolta progressista del suo Paese e i rappresentanti vari che l’hanno incarnata, non ultimo l’avversario per antonomasia di Le Pen, Chirac, il perno intorno al quale tutti si raccolsero, nel 2002, per impedirgli di vincere il famoso ballottaggio (“Comunque appariva improbabile che i francesi tornassero a votare per Jacques Chirac: quella sua incrollabile aria da coglione stava diventando un attentato all’immagine del paese. Quando vedevi quel babbeo che, con l’aria pensosa e le mani incrociate dietro la schiena, visitava un’azienda agricola o assisteva a una riunione di capi di stato, non potevi fare a meno di provare una gran pena”).
Le Pen ha incarnato – e tenuto nell’alveo della democrazia – la rabbia del francese medio spaventato e schiacciato dal mondo nuovo che gli si prospettava innanzi, dai processi di globalizzazione – cosa che qualcuno, hegelianamente pensando, doveva pur fare. Ce lo ricorda sempre Houellebecq, descrivendo alcune comparse dei suoi libri, per esempio in Le particelle elementari (“Purtroppo l’azienda non andava bene, nel campo dell’ottica di precisione la concorrenza si era fatta tremenda, si erano trovati più volte sull’orlo del fallimento; il fratello si consolava bevendo pastis e votando Le Pen”).
Ora che è morto, alla veneranda età di 96 anni, si può ragionevolmente dire che non è il caso di rimpiangerlo, solo di inquadrarlo entro un certo recinto temporale. Semplicemente non era più adatto alle mutate esigenze del presente, alle nuove sfide che incombono. Bisogna comunque riconoscergli di aver fatto il suo quando andava fatto, di aver accettato il rischio di fallire al cospetto della Storia – cosa che, in ultimo, fa qualunque politico quando trapassa in tarda età. Lasciamolo, dunque, al riposo eterno. È a noi che tocca guardare avanti e dimenticare la nostalgia.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81
Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14
Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).