COSA SALVARE DEL PENSIERO DI SINISTRA (di Matteo Fais)
Al mio amico poeta Riccardo Infante con cui, la sera della Vigilia, si discuteva appassionatamente di sviluppi del marxismo
Il sempre caro George Orwell, in un suo articolo del 1941, pubblicato sul “The New Left” e intitolato Fascismo e Democrazia (lo trovate tradotto nell’ultimo numero di “Il Detonatore Magazine”), riconosce che le critiche di fascisti e comunisti alla democrazia borghese sono sovente tutt’altro che prive di fondamento. L’unico problema è che, come fa notare lo scrittore e come sa qualsiasi persona sana di mente, l’alternativa proposta da ambo le frange non è certo migliore del sistema da loro così fortemente stigmatizzato.
Quando si approccia il pensiero di Sinistra, di quella più radicale ovviamente, bisogna dunque evitare di cadere preda dell’incantesimo, della fascinazione per il male. Ovunque sia stato applicato, il comunismo ha significato unicamente morte e disperazione, povertà diffusa, purghe di dissidenti. La palingenetica idea di portare il paradiso in terra si è risolta nello scatenare l’inferno. Del resto, se lì dove realizzato il comunismo non ha mai minimamente funzionato, è inevitabile domandarsi se non vi sia più di qualcosa di errato alla radice stessa di tale pensiero.
Tra gli ideologhi dell’area rossa, probabilmente, il meno interessante è Marx, a cui va riconosciuto solo il merito di aver dato inizio a un percorso, ma effettivamente la sua idea della dialettica storica è semplicistica, quando non proprio rozza, certamente manichea. Più di tutto, il pensatore tedesco, oggi, suona incredibilmente ottocentesco, un figlio del proprio tempo la cui riflessione, in un nuovo millennio, così diverso anche dal secolo scorso, non è più di grande utilità.
Esistono invece tutta una serie di sviluppi del pensiero di Sinistra che, pur avendo il limite di muovere da quel recinto ideologico e sovente di giustificare la barbarie rossa, presentano notevole valore come strumenti per comprendere e mutare in senso positivo la nostra società come le singole esistenze individuali. Non è un caso che tali riflessioni siano state prodotte da filosofi che vivevano nel mondo libero, quello che si può criticare senza finire in un gulag, e non nella Russia sovietica.
Senza pretese di completezza nello spazio angusto di un articolo, semplicemente sperando che chi non sa si documenti in autonomia, si potrebbe partire da Herbert Marcuse e il suo L’uomo a una dimensione: la sua critica al consumismo, alla società del benessere, pacificata e trainata da tutta una serie di bisogni indotti, in cui il pensiero critico e negativo è morto e una sola dimensione prevale, quella dell’acquiescenza al sistema, a cui il filosofo oppone l’idea di un grande rifiuto, del ritorno del represso, l’apertura ai marginalizzati della dimensione capitalista come unica alternativa ai soggetti appiattiti sull’adattamento a essa. Ovviamente, da non perdere, anche la sua meditazione su una sessualità liberata dalle sovrastrutture capitalistiche di sfruttamento e mercificazione, dalle logiche di dominio e potere, da tutti i vincoli con cui la borghesia ha represso una forza positiva per ridirigerla e sfruttarla in un’ottica di produzione e violenza.
Ma più interessante ancora è certamente tutto ciò che proviene dalla Francia, a livello di avanzamento del pensiero in questione. Trascurando la tanto citata nozione di decostruzione, su cui è più l’aurea da cui risulta circonfusa che la profondità di tale posizione, risulta assolutamente necessario fare i conti con le geniali indagini di Michel Foucault e, in particolare, la sua microfisica del potere. La riflessione su di questa segna veramente un punto di svolta.
In prima istanza, bisogna non perdere di vista la differenza tra le civiltà passate fondate su un sistema di potere repressivo e quelle odierne che, invece, ne esercitano uno normalizzante – tu non devi nutrire timore di rubare al market perché, nel caso ti dovessero prendere, andrai incontro a una punizione; non ti deve neppure passare per la testa di appropriarti di qualcosa senza pagare e, se comunque lo farai, non devi essere semplicemente castigato, ma corretto, reinserito entro le maglie del sistema.
Ma ancora più acuta è l’idea secondo cui ogni rapporto sia un rapporto di potere. Tale concezione si smarca dalla riduttiva visione manichea secondo cui tutta la storia sarebbe segnata da semplici conflitti di classe (plebei contro patrizi, proletari contro borghesi), in cui le differenze di ruolo tra vittime e carnefici sarebbero molto nette. La ragazza sfruttata al bancone del bar dal suo datore di lavoro può, una volta tornata a casa, usare il proprio potere sessuale per trarre beneficio da una massa di maschi incel che non conosce la gioia di una relazione e che, pertanto, acquisterà la foto dei suoi piedi su OnlyFans. Il potere, peraltro, come considera Foucault, non è mai meramente verticale, cioè non proviene solo dall’alto, da una classe dominante che opprime quella subalterna, ma ha sempre anche una dimensione orizzontale grazie a cui si propaga. L’esempio classico è quello della pubblicità: il prodotto reclamizzato dai mass media si impone come moda in quanto ogni soggetto pretende dall’altro che anche lui possieda quel particolare articolo, per essere ammesso in un determinato contesto sociale. Alla festa delle medie o delle superiori, chi rifiuta di avere le scarpe Nike, la maglietta Ralph Lauren, è fuori dai giochi, nessuno gli vuole essere amico, non una ragazza che lo consideri.
E così si giunge all’ultimo grande esempio che, indiscutibilmente, non si può fare a meno di prendere in esame in questi tempi di maniacalità social e di invadenti strumenti di comunicazione. Da cosa deriva la nostra alienazione? Perché la nostra vita ci appare sempre di più come una farsa? Il mondo virtuale, in cui viviamo, è tutto un gigantesco show che noi per primi mettiamo in scena a uso e consumo di non si sa bene chi e con che fine. Di fronte al piatto che tua madre ti ha messo davanti, al sushi che ti ha servito il cameriere, la tua prima reazione non è di gustarlo o condividerlo con la ragazza che ti sta davanti, ma di tirare fuori lo smartphone e fotografarlo per prendere il like di un altro disagiato che, mentre mangia, guarda sullo schermo quello che stanno consumando i suoi amici e follower. È la società dello spettacolo di Guy Debord, scritto degli anni ’60 che anticipa come non mai l’immagine dell’universo alienato dell’esibizione perenne entro cui ci troviamo a vivere.
Naturalmente, il numero di intellettuali non si esaurisce qui. Sono decine quelli da conoscere e leggere, anche e soprattutto se non si è di Sinistra, con occhio vigile e critico. Certamente, ci sarebbe il sommo Jean-Paul Sartre, il venerando e terribile maestro del ’900, uno dei primi a dichiarare che il marxismo è una filosofia rozza nello spiegare l’intenzionalità umana. Ma all’autore della Nausea abbiamo già dedicato diversi articoli su “Il Detonatore”, essendo che la sua filosofia della libertà – o meglio della “condanna alla libertà” – rappresenta per noi un faro nella notte e il suo testo capitale, L’Essere e il Nulla, una Bibbia laica imprescindibile.
La domanda più cogente, però, a questo punto, diventa come integrare le istanze di tali pensatori entro una visione democratica e liberale. Che fare per non degenerare nella distopia marxista, eppure salvare il salvabile? Semplicemente basterebbe fare propria la concezione secondo cui la democrazia si basa sul conflitto e l’attrito costante, su una dialettica della tensione senza soluzione, diversamente dalla pacificazione del totalitarismo in cui un grande padre si occupa di tutto in vece del popolo. La democrazia borghese è apertura al pensiero negativo, critico, alla lotta per un orizzonte di miglioramento mai totalmente definito. Essa rifiuta la sclerotizzazione, le strutture calate dall’alto, la fissità mortale.
In tutto ciò, a ogni modo, deve restare ben saldo un principio: è meglio poter essere un povero idiota che sceglie di partecipare allo spettacolo consumista e che, comunque, potrebbe sempre decidere di rifiutare tale prassi, piuttosto che trovarsi come un miserabile stronzo costretto, a rischio della propria vita, a calzare la divisa militare e sfilare al cospetto di un leader che, dal palco, arringa una folla di lobotomizzati col pugno chiuso e la bandiera con falce e il martello. Entrambi sono esempi negativi, ma respingerne la loro capziosa equiparazione è il primo dovere.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).