ONORE A KAMALA HARRIS E AL SUO DISCORSO DA SCONFITTA (di Matteo Fais)
In America, tutto è diverso. Anche la Sinistra, al netto di un metodo comune qui come oltreoceano – ad esempio, l’uso della magistratura politicizzata –, è differente. Si vede che da quelle parti non sono certamente eredi della canaglia comunista.
Abbiamo sentito il discorso di Kamala Harris, dopo la sconfitta, e bisogna riconoscerne la forza. Quella donna merita rispetto. Sarà pure la rappresentante dell’establishment, ma non si tratta certo della nostra Elly Schlein.
La Vice-President si è presentata sul palco in modo sobrio, appena vagamente provata, ma ha parlato con tono fermo, senza piagnucolare o gridare all’imminente disastro. Con spirito tipicamente a stelle e a strisce, invece di lamentarsi e leccare pubblicamente le ferite, ha guardato al futuro con spirito propositivo. “The fight for our freedom will take hard work. But like I always say, we like hard work. Hard work is good work. Hard work can be joyful work, and the fight for our country is always worth it. It is always worth it” (“La lotta per la nostra libertà richiederà un duro lavoro. Ma, come dico sempre, noi amiamo il duro lavoro. Il duro lavoro è un buon lavoro. E può dare tanta gioia, perché vale sempre la pena di lottare per il nostro Paese. Sempre”).
Da questo punto di vista, bisogna dare atto alla Sinistra di tutto il mondo, non solo a quella americana, di pensare con grande lungimiranza, di aver compreso come il fatto di essere stati sconfitti in una battaglia non equivalga ad aver perso la guerra. Il presente è sempre limitato. È al futuro che bisogna mirare, ovvero a ciò che il presente è solo in potenza.
Nel discorso della Harris, questa dimensione era potentemente viva, palpitante. “Sometimes the fight takes a while. That doesn’t mean we won’t win. That doesn’t mean we won’t win. The important thing is don’t ever give up, don’t ever give up, don’t ever stop trying to make the world a better place. You have power. You have power and don’t you ever listen when anyone tells you something is impossible because it has never been done before” (“Delle volte, la lotta richiede tempo. Ciò non significa che non vinceremo. No, non significa questo. La cosa importante è non cedere, mai, mai smettere di cercare di rendere il mondo un posto migliore. Voi avete il potere di farlo. Avete il potere e non dovete mai prestare attenzione a chi vi dice che qualcosa è impossibile, solo perché non è mai stato realizzato in precedenza”). Indiscutibilmente, ha ragione: ci sono voluti secoli per sconfiggere la schiavitù e per guadagnare certi diritti che, ancora non troppi decenni addietro, come durante la segregazione, sembravano follia.
Ecco questo è un discorso profondamente americano, perché alla disperazione preferisce la speranza, al ripiegamento la reazione. E lo è, inoltre, perché ribadisce lo spirito per cui l’America ha, in ultimo, sempre vinto sugli altri Paesi che hanno tentato di farle concorrenza, ovvero quello della democrazia. “But we must accept the results of this election [… ] A fundamental principle of American democracy is that when we lose an election, we accept the results. That principle, as much as any other, distinguishes democracy from monarchy or tyranny. And anyone who seeks the public trust must honor it […] In our nation, we owe loyalty, not to a president or a party, but to the Constitution of the United States” (“E dobbiamo accettare i risultati di queste elezioni […] Un principio fondamentale della democrazia americana è che se si perdono le elezioni, bisogna accettare il risultato. Tale principio, insieme agli altri, distingue la democrazia dalla monarchia e dalla tirannia. E chiunque voglia guadagnarsi il consenso pubblico deve rendergli onore […] Nella nostra Nazione, noi dobbiamo fedeltà non a un Presidente o a un partito, ma alla Costituzione degli Stati Uniti).
Difficilmente quegli ex adoratori di Mosca, da noi, pur dopo i vari cambi d’abito, sottoscriverebbero una simile idea di politica, abituati come sono alla prospettiva secondo cui, se il popolo non accetta la loro visione di giustizia, bisogna imporgliela con le maniere forti. Quella della Harris, infatti, è un’opposizione che noi ci possiamo solo sognare, che lotta per una concezione dell’America magari sbagliata, se non folle, scegliendo una dialettica giustamente conflittuale, ma comprendendo che un partito deve sempre e solo essere al servizio del proprio Paese.
Onore a Kamala, dunque. Il suo discorso è stato denso, rispettabile, mai urlato, pregno di una profonda dignità umana e politica. E, del resto, giova riconoscerlo, l’America non ha bisogno che venga attuato pedissequamente il piano trumpiano di rinascita, ma una commistione tra le soluzioni democratiche e quelle dei repubblicani, evitando gli eccessi dell’uno e dell’altro schieramento. God bless America!
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)