Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

TUTELARE L’EDITORIA, MA RIPORTARLA SUL MERCATO (di Matteo Fais)

La cosa più divertente di questo mondo occidentale, da tanti definito come ultraliberista, è che, in verità, con il libero mercato ha davvero poco a che fare. Certo, tutti sanno che non ogni settore può essere aperto al gioco della domanda e dell’offerta. L’istruzione, per esempio, o la sanità sono il classico esempio – per quanto, oramai, specie quest’ultima, sia prossima a divenire molto simile a quella americana, cioè appannaggio esclusivo dei più abbienti, pur senza che ciò si accompagni a una concreta diminuzione delle imposte.

Ma questo sarebbe un argomento troppo vasto da affrontare adesso. Il problema è che molti tra coloro che, all’interno della classe intellettuale – se così la si vuole definire, se non altro per comodità –, difendono una impostazione liberista, poi, concretamente, sul mercato non ci stanno. È il caso, tanto per dire, dei giornalisti.

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Anche ieri, su un grande quotidiano nazionale, si folleggiava contro il furto dei pdf di giornali e riviste. E, allora, vai di “Questo malcostume dà il colpo di grazia a un settore già in crisi”, “Il Governo Meloni ci dovrebbe tutelare” e blah, blah, blah. Tutto bello e sacrosanto, ci mancherebbe, ma esiste un problema che compromette alla radice il valore di tale posizione, signori: voi fate i liberali a fasce alterne.

Spieghiamo meglio. È un dato di fatto che i giornali campino di una malsana commistione tra fondi pubblici e privati, insomma con i piedi in due staffe. Ovviamente, non sono i soli. Il cinema, come già noto, non è da meno. Senza pescare in quella cassa comune, praticamente, tutti i grandi nomi che si vedono in edicola – e i tantissimi che nel parallelepipedo del giornalaio neppure ci passano – chiuderebbero bottega nel giro di un quarto d’ora ad andare bene.

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Tutto ciò viene giustificato con la ridicola tesi secondo cui una Nazione democratica necessita di una libera informazione, quando tutti quanti sappiamo che essa, in Italia, è libera quanto Cicciolina è vergine – ovviamente, mi perdoni la cara vecchia pornostar per averla avvicinata così indegnamente al marcio.

Più prosasticamente, come noto, tutti i giornali hanno un padrone che si avvale largamente anche del denaro pubblico per tenere in piedi la sua creatura. Questo, senza raccontarci balle, in casa sua, o meglio nella casa per cui lo Stato paga buona parte dell’affitto, spadroneggia un po’ come cazzo gli pare: “Di questo non si scrive male”, “Attaccate X”, “Fate il culo a Y”, “Non dite male di nessuno dei due candidati regionali, perché io sono costruttore e ho bisogno dell’appoggio di chiunque vinca”, o peggio ancora “Supportate pure il popolo nella battaglia contro quello scempio paesaggistico, tanto io non sono riuscito a metterci lo zampino”. Afferrata l’antifona?

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Da un certo punto di vista, ciò non sarebbe neppure un problema, se fosse semplicemente lui a cacciare fuori i soldi di tasca propria e utilizzasse i giornalisti alla stregua di marchettari – del resto, per tornare alla metafora di Cicciolina, solo gli ingenui credono che il mondo della carta stampata sia popolato di vergini timorate di Dio.

Il giornalista – è qui, sì, facciamo i sempliciotti – dovrebbe essere il guardiano del potere e il suo lavoro, di conseguenza, essere soggetto a tutte le dovute tutele, ma va da sé che ciò non possa avvenire se è questo, per vie traverse, a foraggiarlo. Ipotizziamo ci sia una pandemia – sia chiaro, è un esperimento mentale. Secondo voi, i giornali parleranno mai male della gestione dell’emergenza, da parte governativa, se è il Governo a finanziarli? Chiaramente, non accadrà mai. Avverrà esattamente quel che accade con la stampa di Stato in un Paese comunista, tipo la Corea o Cuba.

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Per farla breve, perché c’è poco da girarci intorno, questi signori – e specie coloro che lodano il mercato – vanno riportati entro il suo alveo. Certo, a quel punto, la caccia contro i pirati dovrebbe inasprirsi, diciamo pure divenire feroce.

Altrimenti, se vogliamo fare come si è sempre fatto, all’italiana insomma, tutti chiudiamo un occhio e ognuno si arrangia come può: tu rubi da un parte e quello lo fa da un’altra. E, possibilmente, nessuno fa la morale all’altro, in questa assurda scena comica in cui due mignotte, da un lato all’altro della strada, si danno vicendevolmente della baldracca.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)

Un commento su “TUTELARE L’EDITORIA, MA RIPORTARLA SUL MERCATO (di Matteo Fais)

  1. Come sempre in stile impeccabile, il vero giornalismo è servito. Può piacere o meno ma è esattamente quello che fa il detonatore.

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