REUNION DEGLI OASIS? CHE TRISTEZZA QUESTI QUARANTENNI (di Matteo Fais)
Se esci e vai a una serata, ci sono solo cover band. Se pubblicano un nuovo album, si tratta di una riedizione di qualche disco storico, in occasione del ventennale, trentennale, quarantennale, cinquantennale – di solito, a quel punto, forse per pudore geriatrico, si fermano. Se un concerto è molto atteso, manco a dirlo, si tratta di una reunion o di un mostro sacro che a settant’anni sta ancora cantando le canzoni di quando ne aveva venti – fatta forse eccezione per Taylor Swift.
Ora, ovviamente, mancavano solo gli Oasis a questo grande e grottesco circo nel quale il tempo viene fermato in un eterno presente in cui sono contemporaneamente gli anni ‘60-’70-’80-’90, ma l’unica cosa che non si intravede è un futuro, un reale inizio di millennio.
A giudicare dall’entusiasmo per ciò che è stato e che si ripresenta in questa forma ingrigita e dalla voce rauca, sembra non vi sia nulla ad attenderci nei nostri giorni, che nessuno abbia niente da proporci, oltre questa pietosa litania che è la trap.
Viene anche da pensare che, a livello emotivo e intellettuale, la gente si sia sclerotizzata, abbia smesso di evolvere nel sentire e nel gusto estetico. Con tutte le rivoluzioni e i mutamenti che ci sono susseguiti, le persone non hanno trovato niente di meglio che, come i vecchi, rifugiarsi nell’eldorado di un passato idealizzato. Basta che sia sicuro, già visto, da riproporre in loop fino alla nausea.
Questi quarantenni di oggi sono invecchiati malissimo, hanno smesso di vivere per ibernarsi, per chiudersi nella camera iperbarica della nostalgia. A sentirli parlare con il tono stucchevole del “ai miei tempi”, viene da fare gli scongiuri. L’esaltazione di un periodo, gli anni ’90 che erano altrettanto nichilisti, con l’assenza dei social però, è ridicola.
Per prima cosa non bisogna mai credere a coloro che sono affetti da questo reflusso gastrico e che iniziano i loro post con la formula “Appartengo a una generazione…”. Trent’anni fa la vita era la stessa di oggi. Non è vero che senza lo smartphone la gente si parlava, che tutti si guardavano negli occhi, che si passava da una festa all’altra, che non si fotografava ogni cosa.
Era tutto esattamente come adesso e la generazione di allora era semplicemente cresciuta, come quella che l’aveva preceduta, senza grandi ideali, collezionando videocassette o dvd pornografici e facendosi le seghe, avendo come grande romanzo di riferimento Jack Frusciante è uscito dal gruppo e come colonna sonora dei primi amori Don’t Look Back in Anger. Niente di speciale, insomma. La smettano di menarla come fanno – da troppo tempo – i loro padri sessantottini.
Doveva essere una “generazione di sconvolti, che non ha più santi né eroi” e, invece, sembra un circolo di sopravvissuti della dannata Democrazia Cristiana. Adesso stanno lì a rimpiangere la famiglia tradizionale che li ha resi dei nevrotici senza possibilità di redenzione, dei dipendenti dallo Xanax. Parafrasando gli Who, spero di morire prima di invecchiare a parlare della mia generazione.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).