“MADRE CHE RESTA” DI PATRIZIA BAGLIONE: POESIE PER UN BAMBINO MAI NATO (di Matteo Fais)
È sempre buona cosa che si parli di poesia, qualsiasi sia il motivo, purché se ne parli. Ci sono libri, anche di versi, che riescono ad accendere polemiche, discussioni e dibattiti intorno all’universo lirico e ciò è positivo, perché se c’è una cosa di cui la materia ha bisogno è proprio di ri-guadagnare una dimensione civile. Insomma, di tutto ciò di cui si dissertare è bene che lo si faccia anche attraverso la rima. In ultimo a noi, della Prima Guerra Mondiale, cosa resta ed emerge dal gorgo del tempo più della poesia ungarettiana come testimonianza sentimentale e umana dal fronte?!
Per quel che riguarda il nuovo libro di Patrizia Baglione, Madre che resta, diversi sono i punti su cui si potrebbe accendere la disputa. La prima cosa che salta all’occhio è certo il fatto che si tratti di un’autopubblicazione. Tale nuova prassi, che sta coinvolgendo sempre più autori, porta a interrogarsi sul futuro dell’editoria e sulla necessità, in questo nuovo millennio di social e piattaforme commerciali impensabili fino a qualche decennio addietro, addirittura sulla necessità di avere un editore. Oggi abbiamo programmi straordinari che, con una settimana di tutorial, diventano accessibili a qualsiasi persona che non sia totalmente incapace. In alternativa, ci sarà sempre un amico con qualche nozione di grafica. Effettivamente, considerato che la maggior parte delle case editrici non hanno un progetto editoriale ed estetico serio, oltre a non fare selezione, se non sulla base dei like presi su Facebook, bypassarli potrebbe divenire una soluzione ben più che ragionevole. Tanto più che, fondamentalmente, la promozione che possono fare è più o meno pari a quella che l’autore potrebbe portare avanti autonomamente.
Il secondo aspetto rilevante del testo in questione è la tematica, quella dell’aborto. Ed è qui che l’opera corre il suo più grande rischio, ovvero venir usata da una certa parte del pubblico alla stregua di un manifesto, di un Libretto Rosso di Mao del progressismo 2.0 – niente di strano, è già successo in altri casi, su tematiche diverse. Ciò è in parte inevitabile, ma il consiglio per l’autrice è di tenersi a debita distanza da tutti i gatti e le volpi che vorranno trasformarla da poetessa a opinionista, usando questo bel testo come mezzo invece che come fine.
Se si dice ciò è perché il volume della Baglione ha un valore che davvero va ben oltre la mera presa di posizione. A dirla tutta potrebbe essere letto dai sostenitori della causa abortistica come dagli oppositori, esattamente come fu per il romanzo Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. L’arte non è, infatti, mai semplice dichiarazione politica – “sono a favore o sono contro” –, bensì esplorazione dell’ambiguo, del territorio di confine, fuga dalla nettezza esasperata e inequivocabile del comunicato stampa.
E, a prescindere dalle opinioni della poetessa sulla legge 194, questo testo non suona sicuramente come una dichiarazione entusiastica della pratica (“Come dirti che vorrei/ e ancora più – salvare te con me -/ bambino senza età/ niente pelle, nessuna traccia./ Questa bocca,/ questa notte dritta al sole./ Salvare il dolore,/ restargli al fianco che aspetta di guarire”). Davvero, cosa pensi lei di un diritto civile – presumibilmente quello che pensano tutte le persone sane di mente – conta poco o niente, perché i versi si concentrano più sulla meditazione del dolore, sullo strazio che diviene dimensione inaggirabile della coscienza e il tentativo di sopravvivergli, sapendo che certe esperienze non si superano mai se non accettando il peso di un fardello eterno – a prescindere dal presunto senso di colpa indotto dalla società (“Voglio adottarmi intera/ imparare a tremare,/ vedermi unita, mai più separata/ un pezzo a destra, l’altro,/ a sinistra — combattuta/ pure di me stessa./ Accogliere la paura,/ fiorire in trasparenza/ voglio smettere di morire/ un po’ alla volta”). Come si potrà notare, non si è certo al cospetto di uno dei video di quelle cretine che, su Tik Tok, vanno felici e sorridenti a farsi praticare un raschiamento, credendo così di supportare una nobile causa con la loro superficialità.
E, certamente, la maternità, per quanto rifiutata – per ragioni che non devono interessare il lettore –, non è vissuta con leggerezza e al di fuori di una dimensione sacrale inquieta e carica di significato (“Mi somigli nei tagli delle mani,/ lungo la linea della bocca,/ fra lo spazio che ti rende vivo/ e quello che ti strugge./ Piccolo corpo, sei, dentro il mio./ Quantità assoluta/ di un bene mai provato”).
Al contrario, del miracolo la Baglione riafferma il mistero che sempre si ripropone, al di là della morte voluta o sopraggiunta, delle contingenze di una scelta. Madre si resta sempre ed è un carico morale da cui non si può trovare fuga (“Un figlio resta tale/ anche dopo la marea,/ divorato dalla stessa sua/ corteccia./ Un figlio/ si fa alba che perdona”).
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)