JAN SAUDEK E LA MAGIA DEL SORDIDO (di Matteo Fais)
Sotto il giogo di un potere che cerca di irreggimentare e contenere, reprimere e ottenere obbedienza, i conformisti si piegano, barattano la libertà in cambio di una pace inutile. Il genio, invece, – è lui l’unico a contare – non sopporta, si ribella in ogni modo e occasione, minaccia l’ordine e la disciplina con la sua furia iconoclasta.
Non è un caso che Jan Saudek, uno dei più noti fotografi del ’900 e del Nuovo Millennio, sia nato a Praga, sotto il micidiale potere della carogna comunista. Entro un regime che contempla unicamente l’arte di Stato, quella ancella della propaganda, Jan vive confinato in un miserabile sottano, 4 pareti piene di infiltrazioni, costellate da macchie d’umidità. Ed è lì che, dopo aver assolto ai doveri imposti da quei maiali che detengono il comando, dà sfogo alle sue fantasie, tira fuori tutto l’inconscio di cui i rossi non vogliono neppure sentire parlare, quello che fa di ogni uomo un individuo e lo allontana dal ruolo imposto di ingranaggio del sistema.
La storia vorrebbe – ma pure non fosse vero, è bello immaginare così – che Saudek si sia recato a notte in un teatro che il regime aveva fatto chiudere, in quanto potenziale spazio di dissidenza, e abbia trafugato tendoni e abiti di scena, ogni cosa che potesse tornare utile ad allestire il suo spettacolo domestico.
In possesso di una macchina fotografica di quelle 6 per 6, volgarmente dal formato quadrato o medio formato, la sera, dopo il lavoro, introduce nella sua squallida abitazione ogni scarto umano e freak che riesce a trovare: prostitute, ubriaconi, scappati di casa di ogni sorta. Con l’ausilio di qualche faretto e del frutto di quella sottrazione a fin di bene, imbastisce un set, una scenografia sfarzosa nel suo essere minimale.
Sembra quasi di vederlo che parla con i suoi soggetti. Li persuade, li convince, certo li manipola per spingerli a lasciarsi andare, al fine di dare corpo a tutta una serie di fantasie e visioni sordide, sessualmente esplicite, maniacali, fino a creare un piccolo campionario infernale di angosce e lussuria.
Naturalmente il fotografo, diversamente da oggi con il digitale, ha a disposizione pochissimi scatti. I suoi rullini contemplano un numero di pose minimo e lui, vivendo in ristrettezza, non può certo permettersi acquisti folli. Così, molto del tempo se ne va cercando prima di tutto di creare quella terribile perfezione, per poi impressionarla, in mezzo secondo, su pellicola.
Già interessato all’arte e specialmente a quella figurativa, comincia a colorare le sue foto, come si faceva allora, dipingendoci sopra, spesso dopo aver virato il bianco e nero verso il color seppia. Ecco dunque che l’immagine, sapientemente trattata con il tocco del pennello, si fa ancora più simile a uno squarcio onirico, a un lampo che illumina uno spazio interiore tormentato e mostruoso.
C’è davvero di tutto nelle tante foto che Saudek ha realizzato nel corso della sua esistenza: ragazze nude armate di coltello; altre dallo sguardo sporco che stringono una bambola inquietante, presumibilmente quanto deve essere stata la loro stessa infanzia; donne obese che esibiscono un’oscena e conturbante sensualità; alcune con una pistola puntata contro il cranio; fino ad arrivare alla vera e propria simulazione di atti sessuali.
In tutto ciò il muro corroso e sporco, dall’aspetto eterno come la porta che conduce all’inferno dantesco, resta paradigmatico della produzione di questo incredibile artista. Da esso sembrano emergere tutti i pensieri più reconditi, i demoni di un desiderio pornografico e abissale, furibondo e tinteggiato con la tempera dell’orrore.
Saudek era e sarà per sempre il fotografo dell’eros che incontra la pulsione di morte, oltre a incarnare, con il suo lavoro, la vertigine della libertà, quella che ogni regime del controllo ha sempre cercato di incatenare. Oggi, l’intelligenza artificiale permette di imitare tutto di quelle creazioni – addirittura, senza mai prendere in mano la macchina fotografica. Eppure resta incredibile pensare che un uomo nato nel 1935, in uno dei Paesi meno disposti a dare ospitalità alla possibilità creativa del singolo, abbia potuto dare vita a qualcosa di così agghiacciante e superbo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)