“IL SEGRETO DI SOLVEIG” DI OLIVIER SORIN E LA NECESSITÀ DI SOGNARE – CON UN’INTERVISTA AL TRADUTTORE, GIOVANNI AGNOLONI (di Matteo Fais)
In un mondo che tende sempre di più alla decostruzione e al disvelamento, spesso gratuito, al solo fine masochistico di vedere il Nulla sotto la scorza dell’Essere, non è un caso che certi film, libri e canzoni a tema amoroso, che evitano il melenso, ma non disdegnano il sogno, abbiano ancora un loro successo e vengano scelti come forme di autodifesa.
Ecco spiegata la popolarità di opere quali Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Il favoloso mondo di Amélie, Le ho mai raccontato del vento del Nord?, o La settima onda. Perché, in ultimo, se Dio non esiste e l’amore è un vaneggiamento per cretini illusi, tanto vale caricare la pistola e chiuderla lì, senza stare a tormentarsi perché la vita è semplicemente un piano inclinato verso il baratro.
Un testo recentemente uscito che certo sembra abbracciare questo spirito è Il segreto di Solveig di Olivier Sorin (Betti Editrice). Si tratta semplicemente di una grande storia d’amore che vince il grigiore del nostro tempo con la magia, trovando il proprio perno filosofico nell’idea secondo cui “Una felicità illogica valeva senz’altro più che un’infelicità cartesiana”.
I due protagonisti si chiamano Standor e Solveig, il loro incontro avviene al supermercato, o meglio in un Monoprix parigino, di quelli con cui il lettore italiano avrà ampiamente famigliarizzato grazie alle incursioni houellebecquiane. Tutto inizia da lì e si dipana in un modo che sarebbe troppo lungo ricostruire nella sua dimensione quasi onirica. Basti sapere che lui “era stato fin troppo a lungo alle prese col proprio ristagno interiore, e non aveva niente da perdere a credere in quell’improvvisa buona stella. La sua vita sentimentale flirtava da così tanto tempo con l’orizzonte del fallimento”; mentre lei “era indubbiamente un corpo che viveva di intense eccitazioni, una femminilità sospesa in una nuvola di euforia e disinibizione. Solveig era una persona inattesa e imprevedibile. Ti sorprendeva ogni momento, inserendosi là dove non te l’aspettavi e dileguandosi nel momento stesso in cui pensavi di raggiungerla […] Generosa nelle sue euforie e capace di tenerti pudicamente nascoste le sue sofferenze. Solveig si dibatteva in un corpo e uno spirito colmi di un dolore muto. Era spenta e lacerata, assente e così presente, silenziosa e musicale, statica e mobile, discreta e profondamente volubile”.
In questa complessa trama, tante sono le pagine di intensa riflessione sul miracolo dell’amore che si dipanano come un Vangelo di fede nell’impossibile (“Una felicità isolata non esiste, ha necessariamente il suo omologo da qualche parte, sull’altro lato di qualcosa, il più delle volte di uno sguardo. È per questo che l’allegria di un uomo solo è sempre sospetta e confina con la follia, agli occhi di una comunità. È consentito solo ai pazzi di gioire da soli”).
Considerata l’insolita peculiarità del testo in questione e il suo essere giunto in Italia nella forma mediata della traduzione, si è deciso di sentire in merito l’uomo che ha reso tutto ciò possibile, ovvero Giovanni Agnoloni, già noto scrittore, oltre che quotidiano lavoratore del dialogo tra le diverse lingue.
Qual è stata la difficoltà maggiore nel trasporre in italiano questo libro di Olivier Sorin?
Il francese è un’apparente lingua facile, in quanto relativamente simile all’italiano. Niente di più sbagliato, perché la sua propensione alla sintesi e all’ellissi la rende difficile da sciogliere in modo convincente. Nel romanzo di Olivier Sorin ho dunque affrontato alcuni dei tipici ostacoli del francese, ma fortunatamente le sue capacità di bella scrittura hanno reso più agevole il mio compito principale come traduttore letterario, che è quello di entrare in sintonia con lo spirito dell’autore e di trasmetterlo a chi legge in italiano. Parlando de Il segreto di Solveig, poi, la compresenza o alternanza di ironia e dramma, contemplazione e investigazione mi hanno impegnato nel cercare di rendere vari registri linguistici e trasmettere con altrettanta intensità diverse atmosfere.
Da autore, ritieni ci voglia uno scrittore per tradurne un altro o tutto si riduce a tecnica e mestiere?
Ovviamente, non mi permetto di sindacare il lavoro di tanti miei bravissimi colleghi che traducono ma non scrivono testi propri. La competenza linguistica e la pratica traduttiva, oltre comunque alla consuetudine di scrivere – dato che la traduzione letteraria è una forma di scrittura – permettono di raggiungere livelli eccellenti. Certo, nel mio lavoro l’essere anche uno scrittore mi aiuta tanto, soprattutto in considerazione del fatto che maneggio sei lingue di partenza (v. qui). Non voglio dire che ciò mi permetta di compensare un minor grado di specializzazione, perché ho comunque una conoscenza molto buona di tutte e le pratico oralmente quasi ogni giorno con amici native speakers, ma certo la sensibilità autoriale mi permette di cogliere più rapidamente il senso e l’atmosfera dei testi che devo affrontare e di vedere la soluzione più efficace in italiano – salve le circostanze in cui servono chiarimenti da parte degli autori, con cui per fortuna in molti casi sono personalmente in contatto. Così guadagno anche in velocità e fluidità, già durante la prima stesura. Insomma, sono come un “eptatleta” a cui interessa sì far bene in ogni gara, ma non particolarmente fare il record del mondo in questa o quella. Gli basta arrivare in fondo con un buon punteggio generale.
Quanto è importante, prima di tradurre un particolare lavoro di uno scrittore, conoscere il resto della sua opera, per comprenderne stile ed evoluzione? Oppure, ritieni si tratti di un approccio eccessivamente accademico? Tu come procedi?
Per prima cosa va detto che il più delle volte i testi da tradurre vengono commissionati dalle case editrici e con tempistiche piuttosto strette. Sarebbe impossibile mettersi a leggere tutta l’opera di quell’autore. Certo, quando si ha tempo si può anche fare quanto meno una panoramica della sua produzione, per entrarci meglio in sintonia. Ma questo, realisticamente, è possibile solo quando lo si sceglie personalmente e si coltiva nel tempo il rapporto con lui (o lei), come per esempio mi è successo con lo scrittore cubano Amir Valle, di cui ho tradotto tre libri (l’ultimo edito è il romanzo Il santuario delle ombre, Golem Edizioni, 2023, e ne sto traducendo un quarto). Con Amir siamo diventati amici fraterni, e ormai il suo stile, così intenso ed esplicito nel raccontare i drammi della Cuba contemporanea, ma anche capace di incredibili spunti di luce e perfino di comicità, mi appartiene profondamente – riesco quasi a sentire le cose come lui, anche se a Cuba non ci sono mai stato. Nel caso di Olivier Sorin, invece, non c’era stata una precedente conoscenza, ma fortunatamente ho avuto tempo per tradurlo con calma, intonandomi progressivamente con la sua ironia e la sua delicatezza nel parlare dei sentimenti con una misura di distacco che non è freddezza, ma anche con quella dose di romanticismo che non diventa mai melodramma.
Il segreto di Solveig, correggimi se sbaglio, ma mi pare un romanzo da te particolarmente apprezzato. Vorrei domandarti se traduci solo ciò che in qualche modo ti piace, insomma se selezioni le proposte, facendo una scelta d’artista, oppure se per te basta la magia di riuscire a veicolare ciò che proviene da una lingua e una cultura differente?
Non ho scelto spesso gli autori o i libri che ho tradotto, sempre perché si vive di lavori commissionati. Perciò di solito… punto alla magia. Scherzi a parte, lo sforzo (e anche il divertimento) è quello di immedesimarsi nella sensibilità di quella voce, un po’ come un interprete musicale si cala in una partitura, restituendola con rispetto filologico dell’originale ma anche con la sua inimitabile voce personale (alla faccia delle intelligenze artificiali, che sono e resteranno sempre prive di coscienza e dunque di sensibilità). Comunque, anche con la collaborazione dei miei colleghi Marino Magliani e Alessandro Gianetti e di editori sensibili come I Libri di Mompracem nel caso di Olivier Sorin e Golem nel caso di Amir Valle, ho potuto puntare su autori che sentivo particolarmente “nelle mie corde”. E in precedenza mi era successo anche con Ortica Editrice, per gli scrittori svedesi Sanja Särman e Christian Stannow (autori rispettivamente di Lettere delle piante agli esseri umani e Träbild. Sussurri da Gotland), che ho scelti io stesso perché avevo avuto modo di conoscerli, di persona o letterariamente, nel corso dei miei scambi linguistici e delle mie residenze letterarie all’estero.
Parlando da lettore, perché consiglieresti Il segreto di Solveig?
Non mi limiterò alle considerazioni – mai banali, ma un po’ scontate – che si fanno sempre in questi casi: “perché è un libro molto interessante”, “perché si fa leggere tutto d’un fiato”, “perché intenso e di grande atmosfera”, anche se sono tutte vere. Ne farò invece un’altra, che ha anche a che fare con il risvolto “distopico” (ma in fondo anche “utopistico”) di questo romanzo, la cui parte finale si proietta sui decenni a venire, immaginando gli sviluppi della sempre maggior presenza e del sempre maggior potere delle multinazionali della tecnologia e della distribuzione (tra le altre), e profetizzando perfino – cosa che mi trova del tutto d’accordo – che potranno anche spadroneggiare per un po’ di tempo, ma poi seguirà un inevitabile rinculo, che farà riemergere le arti “analogiche” (nel caso del libro in questione, la fotografia) e riporterà la “lentezza”, e fondamentalmente l’uomo, al centro dell’attenzione. Si tratta dunque di un testo attualissimo, dato che tutti sono talmente presi a inneggiare all’iperconnessione e all’IA da non accorgersi di starle di fatto cedendo gran parte del proprio IQ.
P.S: Giovanni Agnoloni presenterà Olivier Sorin il 5 giugno 2024, a Firenze, presso la Residenza Letteraria “Itaca”, in via San Domenico 22, alle ore 18; e il 6 giugno a Marina di Pisa, alla libreria “Civico 14”, sempre alle ore 18.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)