Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

QUANDO I MORBID ANGEL INVENTARONO IL DEATH METAL CON “ALTARS OF MADNESS” (di Matteo Fais)

I ragazzi di oggi difficilmente potranno capire quale fosse l’atmosfera prima della fine del Millennio e come, anche il passaggio da un decennio all’altro, sia stato segnante per un musicista, dato un avanzamento tecnologico sempre più impattante. In questi tempi odierni, praticamente chiunque, con un po’ di inventiva e qualche migliaio di euro, può registrare un album a livelli ben più che decenti – roba che le band, negli anni ’60-’70, non si potevano neppure sognare.

Non è un caso che l’esplosione dei generi musicali abbia corrisposto con lo sviluppo di certe condizioni materiali di registrazione. Molto semplicemente, ai primordi della musica popolare, sarebbe stato impossibile incidere su disco certi suoni, o meglio, prima ancora, trovare delle apparecchiature in grado di catturarli in modo chiaro e nitido, così da non creare un amalgama simile a un rumore mortalmente fastidioso.

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È negli anni ’80, forse, che le nuove acquisizioni cominciarono a dare i frutti sperati e qualche studio di registrazione diviene accessibile, senza comportare spese folli per i produttori che, giustamente, avrebbero voluto anche dare una qualche possibilità a band afferenti a nuovi generi non ancora di massima diffusione, come appunto il metal più estremo.

Quest’ultimo in particolare è agli albori, ma ha già segnato passi da gigante con gli Slayer, punto fermo per tante altre band che verranno e per i più disparati generi prossimi a nascere, già contenuti in nuce nei loro primi lavori, Show No Mercy (1983), Hell Awaits (1985), e il capolavoro assoluto Reign in Blood (1986) che costituisce il vertice del Thrash, ancora adesso ineguagliato.

È in questo scenario che un giovane gruppo di ragazzi (David Vincent, Trey Azagthoth, Richard Brunelle, Pete Sandoval) si reca ai Morrisound Recording, in Tampa, Florida, gli studios che sarebbero passati alla storia come il tempio della creazione di un nuovo genere, il Death Metal. È lì che viene finalmente inciso su nastro uno dei dischi più estremi e perfetti della storia, Altars of Madness. Le diaboliche possibilità a cui dà accesso una strumentazione totalmente digitale sono ancora lontane. Ci vuole il demonio in persona per raggiungere quella compiutezza nell’esecuzione.  

Da quando fu licenziato nel mercato, in quel lontano 1989, niente fu più come prima. Malgrado non abbia perso la sua freschezza, dopo 35 anni, diversamente da tanto rock – specie quello glam – invecchiato malissimo, che oggi suona grottesco, si può tranquillamente dire che il pubblico si sia fatto l’orecchio a certi suoni che, a quel tempo, devono essere arrivati sui timpani come proiettili esplosivi.

Ciò che colpisce, fin dalla travolgente Immortal Rites, è che questo muro di suono, così compatto, è costruito su una stratificazione di livelli che si fondono senza mai confondersi. Le due chitarre generano l’atmosfera, ma ognuna sa emergere nel momento degli assoli senza perdersi nel rumore di fondo. E la batteria, pur spinta a una velocità da far saltare le pelli, nella registrazione, suona tamburo per tamburo, piatto per piatto. Niente è indistinto, vago, distorto in frastuono assordante.

Difficile, oggi come oggi, immaginare cosa possa aver richiesto all’ingegnere del suono portare a galla tutta quella miriade di sfumature affilate, senza smussarle o appiattirle, soprattutto considerato l’incedere implacabile degli strumenti che, praticamente mai tacciono, neppure per un secondo, concedendosi un respiro. Diversamente dal primo Black Metal, per esempio quello norvegese, che farà dell’assenza di tecnica e della registrazione in bassissima qualità un marchio, i Morbid Angel ricercano un sound pulito e senza sbavature, di violentissima precisione, per dar voce alle proprie visioni malate.

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I testi sono certamente poco più che intrattenimento, esattamente come la maggior parte delle trame di film horror di quegli anni, ovvero privi di alcun significato recondito. Cionondimeno, resta che, se qualche squinternato dei social che, adesso, vede il demonio persino in una manifestazione ridicola come l’Eurovision, avesse modo di sentire – e capire – cosa raccontano brani quali Suffocation, Maze of Torment, o Evil Spells, chiamerebbe subito l’esorcista, il vescovo, il Santo Padre – sempre che non sia anche quello, per loro, emissario di Satana, come si evince leggendo sui vari network.

Se avete Spotify – e se non rientrate nella categoria degli squilibrati che avrebbero bisogno, più che di musica, di uno psichiatra – andatevi a cercare la versione di Altars of Madness in Full Dynamic Rage. Suona ancora meglio dell’originale e restituisce ulteriori sfumature di cui, fino a poco tempo fa, la maggior parte degli stereo casalinghi non avrebbe potuto rendere la forza.

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Da notare, in conclusione, quando ancora la creazione non aveva tempi da catena di montaggio e fare un album non si riduceva a gettare sul mercato qualcosa da dimenticare nel giro di pochi mesi, la cura grafica del progetto. I Morbid Angel scelsero come copertina un’opera del giovane artista Dan Seagrave, affascinati da quella visione disturbante di spiriti dannati confusi in un ribollente calderone – probabilmente una delle migliori art cover di quegli anni, soprattutto nel genere metal, sovente piuttosto naif sul piano estetico, almeno al principio.

Oggi il Death è un genere consolidato, con una sua nicchia decisamente vasta, almeno a livello mondiale. I Cannibal Corpse, qualcuno lo saprà, finirono addirittura per avere un cameo nel noto film Ace Ventura – L’acchiappanimali. Loro, come i Deicide, hanno oramai una carriera più che trentennale. In verità molta di quella musica, con il proliferare ammorbante di band e l’oramai caratterizzante blast beat di maniera, alla lunga mortalmente noioso, ha perso buona parte della sua carica. Restano i classici che hanno definito il genere, oramai irreplicabile nella sua purezza e rinnovato solo dalle contaminazioni. Altars of Madness, in tutto ciò, sta lì, come un punto di partenza imprescindibile, tagliente come appena affilato.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)

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