MOSTRE IN ITALIA – MIRÒ, IMPOSSESSARSI DEL REALE PER AFFRANCARSI DALLE FORME (di Chiara Volpe)
Cresce in una famiglia benestante, il padre è un orologiaio e la madre la figlia di un ebanista. Joan Mirò è un ragazzino sensibile e romantico, visionario. Ama guardare i colori cangianti del cielo, le sue forme in movimento, trascorre molto tempo a disegnare da solo e la sera osserva le stelle, col telescopio del padre, un oggetto che porterà con sé nel suo atelier in futuro.
Il suo sogno è diventare un artista, ma i suoi sperano in una professione più sicura e, così, Joan accetta un posto come impiegato in un ufficio. Anziché lavorare, però, disegna su tutti i libri contabili, si esaurisce psicologicamente e fisicamente e questa non sarà che la prima crisi della sua esistenza, segnata da momenti di calma apparente e irrequietezza profonda.
Decide di andare a Barcellona, dove Francisco Galì, suo maestro in Accademia, intuisce le doti creative di questo nuovo allievo, favorisce la libera espressione creativa attraverso metodi giudicati poco ortodossi, come toccare senza vedere gli oggetti prima di riprodurli. “Ho acquisito il senso della forma”, dirà Mirò per spiegare a parole le sensazioni e le emozioni al di là della raffigurazione, cosa di poetico ed evocativo gli oggetti gli trasmettono, il soffio vitale che proviene dal contatto.
Ecco allora la svolta esistenziale e artistica: Mirò vuole impossessarsi del reale per poi, però, affrancarsi definitivamente dalle forme, un volo dell’immaginazione che lo porterà lontano dall’elemento realistico, alla conquista del suo personalissimo stile. Nella Fattoria, il suo primo quadro famoso acquistato poi da Hemingway, afferra brandelli di immagini e li risveglia in incarnazioni fantasmagoriche, una visione del mondo intima e introversa, ma condivisa volontariamente col grande pubblico.
“Cominciai gradualmente a discostarmi dal realismo, finché giunsi a disegnare esclusivamente sotto l’influsso di allucinazioni”. Nulla è più vero, la sua arte nasce da se stessa e irrefrenabile, non più imbavagliata dall’estetica tradizionale, pretende di essere tradotta. La sua situazione di estrema povertà lo aiuta nell’elaborazione: “vivevo di un paio di fichi secchi al giorno. Ero troppo orgoglioso per chiedere aiuto ai miei compagni. La fame era un’ottima procacciatrice di allucinazioni. Sedevo per ore nel mio studio osservando le pareti nude e cercando di fissare queste forme sulla carta o sulla tela”.
È “l’anti-pittura”, tutta linee voluttuose e selvagge, emozioni a ritmo, un fiume in piena che ha necessità di inondare lo spazio. È “la creazione di un alfabeto di segni privilegiati, vero e proprio frasario idiolettico volto alla creazione di alcune forme”, come lo definisce Gillo Dorfles. Astri, lune, esseri umani e animaleschi insieme, segni falliformi e vulviformi, virgole, asterischi e arabeschi. Non si tratta di misteriosa alchimia per far impallidire futuri esegeti, ma di trascendenza di qualunque figurazione, della creazione di una corrispondenza emozionale tra figura e messaggio, con una frenesia quasi erotica. Il cielo infinito è la sua superficie pittorica ideale, sovente trovano spazio l’immensità fusa con le stelle e la musica.
“Sentivo un profondo desiderio di evasione. Mi rinchiudevo liberamente in me stesso. La notte, la musica e le stelle cominciarono ad avere una parte sempre più importante nei miei quadri”. In questa danza, Mirò si ritaglia la sua oasi di pace, oltre la disperazione. “Sono di indole tragica, taciturna, tutto mi disgusta, la vita mi sembra assurda”. Non soltanto, dunque, un temperamento giocoso, ma anche e soprattutto meditativo, in lotta con se stesso. I suoi grandi occhi aperti sul mondo ben esprimono la volontà dell’artista di fuggire e risvegliarsi su nuove albe.
È qui che avviene il suo incontro con il divino: Mirò consacra il segno dell’uomo nella creazione, sfida ogni equilibrio verso il riscatto, riferimento per non smarrirsi nell’infinito oltre la tela. Giustifica, esalta ogni slancio vitale su inevitabili sconfitte mortali che attanagliano ogni generazione. E tra la devastazione e la rinascita ciò che resiste è il pensiero e le reazioni che scaturiscono da noi stessi. Oltre la notte la purezza dello spirito, la dimensione dell’anima.
Fino al 7 luglio 2024, Joan Mirò sarà in mostra nel Palazzo della cultura a Catania.
Chiara Volpe
L’AUTRICE
Chiara Volpe nasce a Palermo, nel 1981. Laureata in Storia dell’Arte, ha svolto diverse attività presso la Soprintendenza per i Beni Culturali di Caltanissetta, città in cui vive. Ha lavorato per una casa d’Aste di Palermo, ha insegnato Arte, non trascurando mai la sua più grande passione per la pittura su tela, portando anche in mostra le sue opere. Attualmente, collabora anche con il giornale online Zarabazà.