Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IL PASSATO, GRAZIE AL CIELO, È MORTO  (di Matteo Fais)

[…] la gloria postuma si fonda sempre su un malinteso. Che ne sanno di quei nipoti che verranno a rintracciarli fra di noi? L’immortalità è un alibi terribile: non è facile vivere con un piede al di là e uno al di qua della tomba. Com’è possibile sbrigare le faccende quotidiane quando le si guarda da così lontano? Come appassionarsi a una lotta, come gioire d’una vittoria? […] Si son lasciati rubare la vita dall’immortalità. Noi scriviamo per i nostri contemporanei, non vogliamo guardare il nostro mondo con occhi futuri, sarebbe il modo più sicuro per ucciderlo, ma con i nostri occhi di carne, con i nostri veri occhi perituri. Noi ci auguriamo di vincere il nostro processo in appello, e non sappiamo cosa farcene d’una riabilitazione postuma: è ora, da vivi, che i processi si vincono o si perdono (Jean Paul Sartre, Che cos’è la letteratura?, Il Saggiatore).

Il passato è un lusso da nullafacenti, da perdigiorno. In alternativa si configura come una volontà di fuga dal presente, nel tentativo di rivolgersi a categorie interpretative già consolidate e, oramai, ampiamente abusate e fuori tempo massimo.

Che palle il 25 aprile, la retorica della Liberazione, i giovani che giocano a fare i sopravvissuti. Diciamocelo chiaro e tondo, tutto ciò è ridicolo. In tempi di Intelligenza Artificiale, stiamo ancora qui a parlare di quando il mezzo di comunicazione più veloce era il telegrafo.

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Davvero, non se ne può più. Come quando ti chiedono insistentemente se ti dichiari antifascista e non accettano semplicemente che del Fascio non te ne possa fregare di meno. Anche perché, a chi può interessare, oggi come oggi, di un movimento nato nel 1919 e salito al potere nel ’22? Sono passati più di cent’anni, santo cielo. Il mondo è talmente cambiato che un ragazzo o uomo di oggi non può avere neppure la più pallida idea di cosa passasse per la testa di uno dei suoi nonni, prevalentemente morti e sepolti al momento, quando allora ascoltavano i discorsi del Duce con le lacrime agli occhi.

La gente non si rende neppure conto che si discute di un’Italia in cui l’analfabetismo era sostanzialmente assoluto, in cui si parlava quasi solo dialetto, ci si sposava praticamente tra parenti, il bagno era una rarità in tante parti dello Stivale, lo scaldabagno non esisteva e persino un semplice elettrocardiogramma era un traguardo per cui si sarebbe dovuto attendere almeno sessant’anni.

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Riproporre seriamente certe contrapposizioni, oggi, è un gioco che sfiora il delirio psichiatrico, più o meno come rimpiangere l’Unione Sovietica e la Rivoluzione d’Ottobre, dopo aver appreso delle purghe staliniane e dei gulag. Palesemente, con gente che proponga ancora posizioni simili, non si può discutere, bisogna unicamente contattare il più vicino centro di igiene mentale, perché si ha a che fare con persone socialmente pericolose e fanatiche, o con degli squilibrati.

Con tutti i problemi che ci sono oggigiorno, guardare indietro invece che avanti è da irresponsabili avulsi da qualsiasi principio di realtà, come raccogliere la collezione di francobolli mentre la casa brucia. Tanta stupidità è eguagliata solo dalle femministe che rievocano ogni tre per due il fantasma del patriarcato, come se davvero si potesse adesso, a bocce ferme, esprimere giudizi di un qualche valore su rapporti umani e amorosi che intercorrevano tra gente nata nell’800. Una colossale idiozia!

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Naturalmente, non si vuole con ciò dire che noi non si sia anche il risultato del nostro passato, ma gli ultimi cent’anni hanno visto un avanzamento tecnologico che ci ha fatto fare un salto antropologico mai visto nei quasi due millenni precedenti. Invece, un po’ ovunque, si continua a rivangare periodi – si veda il caso dei neri americani – che non hanno più ragione di essere tirati in ballo per i capelli.

Ognuno ha da affrontare il suo tempo e le sfide che questo pone. Non esiste l’Uomo come astrazione metafisica non situata nel tempo e nello spazio. Esattamente come ogni opera d’arte è storica, per dirla con Sartre in Che cos’è la letteratura?, così ogni essere umano è calato in una congerie antropologica e culturale che non può essere vista con il senno del poi, pena risultarci assurda. Lasciamo i morti a riposare e torniamo nell’unico spazio che ci è stato dato in sorte, il qui e l’ora.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

Un commento su “IL PASSATO, GRAZIE AL CIELO, È MORTO  (di Matteo Fais)

  1. Io penso che inscatolarci dietro e dentro alle storiche etichette sia il miglior perditempo. L’evoluzione? L’involuzione?
    Utilizzare dialetto o IA?
    Siamo, ognuno, responsabili del qui ed ora e del futuro che potremmo generare.
    Grazie Matteo, scuotimento interessante!

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