CHI È ALIENATO, LE MASSE O GLI INTELLETTUALI? (di Matteo Fais)
“La massa sa di non sapere nulla, e non ha voglia di sapere. La massa sa di non poter nulla, e non ha voglia di potere. Le viene violentemente rimproverato questo segno di stupidità e di passività. Ma non è affatto così: la massa è molto snob, […] Delega sovranamente la facoltà di scegliere a qualcun altro, con una sorta di gioco dell’irresponsabilità, di sfida ironica, di sovrana mancanza di volontà, di segreta scaltrezza. Tutti i mediatori (politici, intellettuali, eredi dei filosofi dei Lumi nel disprezzo delle masse) in fondo non servono che a questo: amministrare per delega, per procura, questa fastidiosa faccenda del potere e della volontà, togliere alle masse la zavorra di questa trascendenza per il loro più grande piacere e offrirne loro per di più lo spettacolo” (Jean Baudrillard, Le strategie fatali, Feltrinelli).
Anche se quasi nessuno lo ammetterà mai, esiste il rischio concreto che buona parte della filosofia e di tutto il discorso occidentale, che va avanti da duemila anni a questa parte, siano minate alla base da una errata assunzione che ne vanificherebbe l’intera costruzione.
Tutti quanti abbiamo sentito parlare del Mito della Caverna di Platone, con il filosofo che ha da scendere nel regno delle ombre e delle illusioni per spezzare le catene e portare le persone alla luce del sole. Ci sono poi stati tanti movimenti, dall’Illuminismo al Marxismo, che fondamentalmente hanno riproposto, in diverse forme, l’idea di una palingenesi e liberazione dell’umanità, sostenendo che questa sarebbe stata vittima di un obnubilamento dettato da convinzioni religiose, propaganda, ideologia e via dicendo.
Il punto sta tutto nel capire se le masse vogliano poi affrancarsi da qualcosa, o non siano piuttosto i teorici a voler cercare una ratio al proprio esistere e operare? Insomma, sono le masse a essere alienate o sono i filosofi a risultare spesso degli alienati che non riescono a partecipare al rituale collettivo chiamato genericamente società?
Millenni di riflessione e nessuno che sembri essersi, per così dire, svegliato – almeno non nel senso auspicato. Artistotele, Kant, Hegel, Heidegger, Sartre, eppure le folle smaniano ancora per seguire lo spettacolo calcistico alla domenica, come in precedenza si recavano alle lotte tra gladiatori. Persino gli ottant’anni di istruzione pubblica hanno prodotto poco o niente.
Qualsiasi intellettuale – ammesso e non concesso che agisca mosso dalla volontà di diffondere ciò che ritiene essere giusto e vero, e non per conto di un qualsiasi potere più o meno occulto – dovrebbe porsi, ogni mattina, quando si alza, la domanda rispetto al senso del proprio agire. Vi è un fondato motivo per scrivere una recensione di un libro di poesia, utilizzando un linguaggio il più semplice possibile, sperando così di indurre l’uomo della strada a leggere dei versi? Servirà davvero segnalare quel disco praticamente sconosciuto, di musica classica o jazz, a una platea di persone che si sazia gioiosamente del prodotto targato Maneskin? Insomma, qualcuno glielo ha chiesto di porsi alla guida di un movimento, di fornire delle indicazioni culturali, o è lui che si è – patetico come pochi – arrogato un ruolo da messia?
Spingendo il discorso in un senso ancora più radicale, ci si potrebbe domandare quanta misura di verità sia necessario arrivare a possedere e se l’illusione non abbia tutto sommato un suo inestimabile valore mai fino in fondo riconosciutole. Se, per ipotesi, in questo istante, qualcuno venisse a dimostrarvi che l’amore non è quel trasporto che vi anima guardando una donna, ma una semplice questione chimica che si verifica nel vostro organismo, finalizzata alla perpetuazione della specie, siete certi che ciò sarebbe un vantaggio per voi e per la società? È davvero sbagliato pensare che il sentimento sia qualcosa di più che una reazione fisica come la digestione, capace di produrre, per esempio, versi come quelli del tredicesimo sonetto del Canzoniere di Petrarca, ovvero “Quando fra l’altre donne ad ora ad ora/ Amor viene nel bel viso di costei,/ quanto ciascuna è men bella di lei,/ tanto cresce ‘l desio che m’innamora”?
Se ci riflettete, persino in momenti molto meno nobili di quando si scrive una lirica, il risveglio della consapevolezza è tutt’altro che auspicabile. Quando guardate un porno, fantasticando di scopare un’ingenua Mia Khalifa, con tanto di velo islamico in testa, che si trasforma improvvisamente in disarmante troione industriale, volete davvero che la coscienza vi presenti il conto rammentandovi che quella è stata una famosa pornostar e per lei un cazzo in erezione non è una rivelazione erotica ma un’ovvietà, che ha firmato un consenso informato per la diffusione di immagini esplicite della propria persona e via dicendo? Presumibilmente, in quel frangente vagamente autistico e irragionevole, per voi lei è davvero una sprovveduta catapultata suo malgrado nel regno dell’eros più sbrigliato.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito, ma la domanda continua a restare senza risposta: ha senso vedere diradate le nebbie della propria ignoranza e, soprattutto, le masse lo desiderano davvero? Non sarà che queste ambiscano proprio alla non scelta, o quantomeno a una decisione non più impegnativa di selezionare all’interno dei duecento, tra film e serie televisive, che Netflix proporrà per questo mese? Non potrebbe essere che a quella folla la partita di calcio vada benissimo e la trovino realmente appassionante; esattamente come il tanto stigmatizzato aperitivo a base di spritz, assurto a emblema della perdizione per i teorici della decadenza, non sia la massima ambizione dell’uomo medio? E se lo sbandierato malessere sociale non fosse che il turbamento di una parte minima della popolazione, fatta di inconsapevoli come di intellettuali, che si vuole artatamente estendere a ogni creatura vivente? Probabilmente molti filosofi, se davvero si arrischiassero a guardare in faccia il mondo della vita, invece di sperare magicamente di mutarlo con l’ennesimo libro antipropaganda, si sentirebbero repentinamente cedere le gambe, per ritrovarsi infine con il culo per terra.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
Grazie, Matteo. Condivido.