HANNO CREDUTO ALLA BALLA DI KEN INCINTO, PER QUESTO CI VORREBBE L’EPISTOCRAZIA – (di Alex Vön Punk)
Sono intorno a noi: ti versano la birra, ti assistono dallo sportello in banca, ti preparano il caffè, guidano l’autobus che ti porta in giro, insegnano nelle scuole dei tuoi figli. Si tratta di quelli che hanno creduto alla balla della bambolina di Ken incinto, l’ennesima fake news diffusa dalla propaganda russa per screditare l’Occidente. Li si trova ovunque. Come un’orda di zombie in un film di Romero, si aggirano per le città e per i social. Evitarli è un’impresa titanica.
L’italiano medio, come noto, sfugge alla lettura e alla comprensione, alla conoscenza come allo spirito critico, li rifiuta come un cane rabbioso e idrofobo ha paura dell’acqua. Per intendersi ognuno ha il sacrosanto diritto di essere ignorante e stupido, ma il punto è che, nell’era della rete e della conoscenza che viaggia a una velocità senza precedenti, essere tali è una scelta deliberata e, di conseguenza, una colpa.
Non possiamo adottare un approccio giustificazionista. Non siamo più negli anni ’30, quando un contadino di uno sperduto e remoto paesino non aveva né strumenti né tempo per potersi formare culturalmente. Oggi, chiunque ha un PC e una connessione. Se lo si desidera realmente, smascherare una notizia virale come quella del pupazzetto gravido richiede appena un minuto e una veloce ricerca su Google.
Siamo in presenza di soggetti che si auto-inducono una lobotomia parziale, imparano quel tanto che gli basta per leggere, scrivere e comunicare, ma come scimmie ammaestrate non riescono ad andare oltre queste attività di base.
Sussiste però un problema non secondario che, facendo il verso al John Carpenter di Essi vivono, potrebbe dirsi “essi votano”. L’esercizio del voto non è meramente un fatto di libertà. Per parafrasare il filosofo americano libertario Jason Brennan, si lega, o almeno dovrebbe, al “principio di autorità”: quando alcuni cittadini possiedono maggiori conoscenze, o sono più affidabili, è lecito assegnare loro una posizione predominante su quelli che hanno una conoscenza minore. Ne consegue che è lecito impedire, a coloro che sono moralmente irragionevoli, ignoranti o politicamente incompetenti, di esercitare qualsivoglia autorità politica sugli altri. Per ottenere un simile risultato bisogna impedire a questi di detenere il potere, o ridurre quello che già hanno, al fine di proteggere persone innocenti dalla loro incompetenza. Ecco perché ci vorrebbe la cosiddetta epistocrazia. Il punto è tutto qua, si tratta di salvaguardare coloro che non hanno colpe dall’orda di zombie armati di matita che, nel segreto dell’urna, hanno la possibilità di cambiare le loro vite.
Molti diranno che “il diritto di voto è sacro”, ma in verità viviamo già in una società che applica restrizioni in base alle capacità. Il voto non è un diritto umano, bensì civile, come pilotare un aereo. Non puoi impedire ciò a categorie specifiche in quanto tali (le donne o i biondi), ma puoi, anzi devi, escludere dal novero chi non possieda il brevetto, per il semplice fatto che, dare un velivolo in mano a uno che ignori come lo si porti, rappresenta un pericolo per questo e per gli altri. Non si tratta di un giudizio morale, bensì di riconoscere chi ha competenza e chi no.
Un ambiente in cui si riscontra perfettamente il distinguo tra conoscenza e inabilità è il mondo hacker. Steven Levy, teorico dell’etica hacker, ci racconta che i pirati della rete sono giudicati per il loro operato e non sulla base di falsi criteri quali ceto, età, razza, sesso o posizione sociale. Nella comunità, l’abilità conta più di ogni altra caratteristica. Levy descrive il caso di L. Peter Deutsch che, seppur appena dodicenne, venne accettato dagli altri hacker del TX-0, nonostante non fosse neppure uno studente del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Dovrebbe valere lo stesso discorso per i cittadini. Se un ragazzino di 13 anni dimostra di saperne di più di un 50enne, il primo dovrebbe avere diritto di voto, l’altro no.
Il fatto è che abbiamo elevato tale diritto a una sorta di patente di dignità ed uguaglianza sociale. Dato che, in passato, le società occidentali hanno escluso da esso certe delle categorie per criteri sbagliati e totalmente arbitrari, abbiamo pensato che far votare tutti fosse la soluzione. Beh, non lo è. Ovviamente è sbagliato escludere dal voto le donne, i neri, i biondi, o quelli alti meno di 1 m e 65; ma sarebbe giusto alienare tale diritto quando si presentano manifesti limiti quali, ad esempio, l’ignoranza.
Il popolo, quell’esercito zombie di votanti utilizzato dai politici per auto-legittimare il proprio potere, non esiste, è un’astrazione. Non puoi parlarle con il popolo, non ci puoi ragionare, ma solo con l’individuo, ed è sul singolo, sull’Unico, che dovremmo basarci per stabilire criteri razionali su cui fondare un sistema decisionale. L’alternativa è mettere il proprio futuro nelle mani di gente la cui opinione è determinata da un post, contenente un mucchio di falsità, condiviso da una massa di idioti, sui social network.
Alex Vön Punk
Email: vonpunk@tutanota.com
Telegram: @VonPunk
L’AUTORE
Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelance, agitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Libertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del Reddito di Base Universale.
Votare o meno è una scelta del singolo, non può essere negata o imposta. Escludere una grossa fetta della popolazione dall’ elettorato significa aprire la strada a terrorismo, guerriglie, attentati, etc. Prova ad andare dagli americani, popolo tra i più ignoranti in Occidente (a livello di cultura generale), e digli che da domani buona parte di loro non voterà più, e poi vedi se non ti prendono a fucilate.