Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

“NO…?” – UN RACCONTO DI MARK SAFRANKO, SCRITTORE AMERICANO, SU UN UOMO ACCUSATO DI VIOLENZA SESSUALE (di Matteo Fais)

Uno dei grandi meriti della letteratura, al di là della questione del piacere estetico ovviamente, è di riuscire a restituire il senso di certe esperienze, tutto quell’insieme di sensazioni, percezioni, parole che vanno a costituire un determinato evento. Un articolo di cronaca, per esempio, non riuscirà quasi mai a rendere le molteplici dimensioni di una battaglia, durante la guerra: il boato della bomba che esplode, l’odore infernale di polvere da sparo e minuscoli detriti dispersi nell’aria, l’urlo così terribilmente umano del soldato dilaniato nella carne, i pensieri del cecchino. La ricostruzione giornalistica ci fornirà solo i movimenti delle truppe, la conta dei morti e dei feriti, lasciandoci, con quelle 20-30 righe, il senso di essere al cospetto di un’astrazione, sempre e comunque a debita distanza dalla vita vera.

Naturalmente ciò vale per qualsivoglia episodio, non è necessario che si tratti di qualcosa di così estremo come la guerra. Per esempio, visto che va sempre più diffondendosi anche qui nel Vecchio Mondo: cosa si prova a vedersi accusare di violenza sessuale da una ex, da un’amante riemersa improvvisamente dal passato? Cosa avranno provato tanti uomini comuni, insieme ad altri famosi, come Kevin Spacey o Johnny Depp?

Questo ce lo può dire solo la letteratura. Perciò abbiamo scelto di tradurre un racconto di Mark SaFranko, intitolato No…?. L’autore americano, per chi non lo sapesse, è una vecchia conoscenza qui a “Il Detonatore”. Ci siamo occupati della sua opera in diverse occasioni, anche proponendo alcuni testi ancora inediti in Italia.

La decisione di rendere disponibile questa short story ai lettori che non padroneggiano l’americano, nasce dalla volontà di insistere nello stigmatizzare questo nuovo malcostume sempre più diffuso, dalla nascita del me too, di denunciare, anche a distanza di decenni, un uomo, sovente senza fornire alcuna prova ed esponendolo, ancor prima del processo, al pubblico ludibrio con l’accusa di essere uno stupratore o, nella migliore delle ipotesi, un molestatore.

Ringraziamo infinitamente SaFranko per averci dato questa possibilità.

Qui la versione originale del testo e, a seguire, la traduzione: https://thievingmagpie.org/mark-safranko-fiction/

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NO…? – A STORY BY MARK SAFRANKO, AMERICAN AUTHOR, ABOUT A MAN ACCUSED OF SEXUAL VIOLENCE (by Matteo Fais)

One of the great qualities of literature, beyond the question of aesthetic pleasure of course, is restoring the meaning of certain experiences, that whole set of sensations, perceptions, words that goes to make up a particular event. For example, a news article will almost never be able to convey the multiple aspects of a battle during the war: the roar of the exploding bomb, the hellish smell of gunpowder and tiny debris scattered in the air, the scream so terribly human of the soldier torn in the flesh, the thoughts of the sniper. Journalistic reconstruction will always give us only the troop movements, the count of the dead and wounded and, after reading those 20-30 lines, the sense of being in the presence of an abstraction, always in any case at a due distance from real life.

Of course, this applies to any episode, it needn’t be something as extreme as war. For example, as it is becoming more and more widespread even here in the Old World: what must it feel like to be accused of sexual assault by an ex-girlfriend, by a lover suddenly re-emerging from the past? What must so many ordinary men have felt, along with famous ones like Kevin Spacey or Johnny Depp?

Only literature can tell us that. Therefore, we have chosen to translate a short story by Mark SaFranko, titled No…?. For those who don’t know, the American author is an old acquaintance here at “Il Detonatore”. We have dealt with his work on several occasions, even offering some texts still unpublished in Italy.

The decision to make this short story available to readers, who don’t master American English, comes to us from the desire to insist on stigmatizing this new malpractice increasingly pervasive, since the birth of the me too, of denouncing, even decades later, a man, often without providing any evidence and exposing him, even before the trial, to public ridicule with the accusation of being a rapist or an abuser at best.

We infinitely thank SaFranko for giving us this opportunity.

Here’s the original version of the text and the translation: https://thievingmagpie.org/mark-safranko-fiction/.

L’ESORDIO POETICO DI MATTEO FAIS È ACQUISTABILE ALL’INDIRIZZO: http://www.delta3edizioni.com/bookshop/poesia/405-l-alba-e-una-stronza-come-te-9791255141198.html

NO…? (di Mark SaFranko – trad. ita di Matteo Fais)

Era un tardo pomeriggio di primavera. Il tempo era finalmente migliorato, dopo un cupo inverno che pareva non aver fine. Karson aveva appena spedito un pacco dall’ufficio postale di Jackson Street e, uscendo, stava pensando di concedersi un pranzo da McAffrey, per quanto l’ora fosse ormai passata. Ma cambiò subito idea, quando si trovò faccia a faccia con Elizabeth Darcy.

Non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui l’avesse vista. Dovevano essere trascorsi anni – almeno venti. Durante tutto quel tempo gli era capitato di domandarsi, alcune volte, cosa ne fosse stato di lei, e supponeva che, come per tutte le altre che aveva frequentato, si fosse sposata e avesse cambiato nome, per poi trasferirsi fuori, in qualche posto tipo il Connecticut, la California, o la Florida, risultando così irrintracciabile – non che a lui interessasse.

A quanto pare, si sbagliava.

La sensazione, a ritrovarsela davanti, era decisamente ambigua. Restò stupito constatando che era rimasta la stessa di sempre, identica a quando avevano avuto una torbida relazione clandestina, tra colleghi d’ufficio. Quel giorno indossava un giacchino di nylon, stivali scamosciati e pantaloni neri. Quando lo riconobbe, la mascella le si spalancò in un modo che lui non poté se non interpretare come una manifestazione di ripugnanza.

Doveva decidersi immediatamente, questione di mezzo secondo. Fregarsene e passare oltre, o far finta di non averla semplicemente vista? Successivamente, avrebbe pensato che qualsiasi mossa sarebbe comunque risultata sbagliata.

“Ehi. Ho pensato fossi tu. Mi sbaglio?”

Cercò di sembrare spontaneo.

“Sono io”, disse Liz Darcy.

“Lo sapevo. Caspita, ti trovo bene…”.

Karson era sorpreso. Anche se Liz Darcy, diversamente da lui, non sembrava granché entusiasta, si era comunque fermata lì sul marciapiede, senza scappar via. Sapeva che probabilmente avrebbe dovuto essere lui a farlo, ma nutriva una sorta di curiosità morbosa nei suoi confronti.

“Vivi qua vicino?”

“Non lontano”, rispose lei.

“Ma non mi dire. Sai, in tutto questo tempo, mi ero immaginato che potessi esserti trasferita”.

“Perché?”

“Beh… così. Sai, le persona si spostano. È proprio il caso di dirlo…”.

La situazione diventava sempre più imbarazzante, ma Karson, per chissà quale motivo, non riusciva a farsene una ragione.

“Capita, ma non è il mio caso”.

“Certo. A ogni buon conto, sono scioccato dall’averti incontrata dopo tutto questo tempo”.

“Anche io”, disse Liza Darcy. E improvvisamente si illuminò, lasciando spiazzato Karson. Addirittura il suo desiderio sepolto, per un attimo, sembrò ritrovare vita.

“Che dire… Suppongo tu non lavori più per United”.

Era il posto dove si erano incontrati. Karson aveva lasciato tempo addietro, cambiando occupazione e spostandosi in una piccola azienda.

“Perché lo vuoi sapere?”

“Dicevo così per dire. Sai, visto che siamo qua”.

“Preferirei non parlarne”.

“D’accordo, ho afferrato il concetto. Insomma, era pura curiosità … So che fa strano parlare dei tempi andati”.

“Decisamente”.

“Anche perché come è finita… È stata pesante”.

“A dir poco. Ma non era certo colpa mia”.

Karson scosse la testa vergognandosi.

“Lo so, adesso lo so”.

Forse, pensò lui, in ultimo valeva la pena parlarne. Non che fosse di quelli che amano rimestare il passato, ma l’aveva sempre tormentato il pensiero di come tutto fosse naufragato tra lui e Liz Darcy.

“Ti ricordi cosa è successo, no?”, gli chiese lei, quasi gli stesse leggendo tra i pensieri.

“Certo che ricordo. Lo ricordo neanche fosse ieri, ho tutto ben presente”.

“Interessante”, replicò Liz Darcy.

“Perché, tu no?”

“Oh, sì. Certo che ricordo”.

“A ripensarci adesso, la considero come una di quelle esperienze di gioventù che, riviste col senno del poi, sembrano incredibili – non che quanto successo mi imbarazzi”, Karson mentì. “E non che mi dispiaccia per ciò che è stato o qualcosa di simile. Perché alla fine quel che successo è stato bello, o sbaglio?”

I tratti di lei si fecero improvvisamente più duri. E Karson fu assalito dal pensiero di essere finito in qualcosa come una trappola.

“O, perlomeno, io pensavo”, insistette debolmente. “Cioè, non so, ma avrei detto così, a onor del vero. No?”

“A onor del vero, no”.

“Allora, forse, quel che ricordo io è vagamente diverso. Certo è stata una storia folle. Ma eravamo giovani – almeno relativamente, no?”

Karson rise piano. Lei la vedeva come lui? Non riusciva a farsi un’idea.

“Per un certo periodo, allora, ho anche pensato che tra di noi fosse amore”.

L’aveva buttata lì a mo’ di battuta, era una semplice provocazione per vedere la sua reazione. Dato che lei restava zitta, aggiunse: “Sai, forse ero io a essere innamorato di te”.

“Io non ti amavo”, disse Liz Darcy.

Il colpo era arrivato. Diretto. Duro. Karson si sentì arrossire.

“Ok… Ma dovrai ammettere che noi due, a letto, eravamo materiale infiammabile, non pensi? Possiamo riconoscerlo, dopo tanto tempo, che ne dici? Ecco perché in principio avevo pensato che potesse esserci un futuro. Che qualcosa forse sarebbe potuto accadere”.

“Avevi scambiato il tuo desiderio per qualcos’altro”.

“È possibile… Però dai, seriamente, vorresti dirmi che all’inizio non ti sentivi coinvolta?”

“Forse. Per un po’. Finché non sei diventato noioso”.

“Mi spiace”.

“Dopodiché sei perfino peggiorato. Sei diventato noioso, noioso, terribilmente noioso”.

“Non hai detto così, quando ci siamo visti a quella festicciola estiva che avevi organizzato…”

Karson poteva ancora figurarsi la scena: la luce del sole, di un tardo giugno, che risplende sull’acqua cristallina della piscina, nel giardino della casa. Un lungo tavolo disseminato di grossi panini, vino e bottiglie di birra, le posate di plastica. Elizabeth Darcy che svolazzava da una parte all’altra, con addosso un costume intero, alla stregua di una scura farfalla. C’era qualcosa nella sua figura che gli faceva venire l’acquolina in bocca…

“Allora, non avevi ancora avuto abbastanza tempo per renderti insopportabile”.

A quel punto, Karson non sapeva più che ci facesse lì. Doveva tornare in ufficio.

“In tal caso, preferisco ripensare all’inizio. Quando tutto andava alla grande tra noi. Quando passavamo 24 ore tra le lenzuola senza mai alzarci, neppure per prendere una boccata d’aria. Meglio ricordare questo”.

“Per la verità, sapevo già da prima di non essere interessata a te”.

Per quanto stupido potesse essere, dopo tutto quel tempo, a Karson sprofondò il cuore in petto sentendo quelle parole.

“Scusa, ma…”

Le donne, si disse, riescono a separare il sesso dal resto. E tu non l’avevi capito.

“Pensavo che i ruoli tra noi fossero invertiti”, disse come soffiando tra i denti.

“Il che conferma ciò che penso. Ancora adesso, non afferri il punto”.

Rifletté che non stavano esattamente litigando. Erano piuttosto come due avvocati che cercano di chiarire la situazione, in un’aula di tribunale deserta.

“Quel che tu non arrivi a capire è la differenza che corre tra qualche notte di semplice divertimento e qualcosa di molto più grave. A ogni modo, in quel periodo, ero particolarmente interessata a un’altra persona”.

“Ah sì, uno dei vicepresidenti della compagnia per cui lavoravamo. Ho scordato il suo nome”.

“Desmond era molto attraente”.

“E molto sposato, se non ricordo male”.

Karson aveva sempre pensato che quell’interesse fosse dipeso da una questione di potere. Liz Darcy era un’arrampicatrice sociale. A quei tempi, per alcuni misteriose ragioni, questo aspetto di lei gliel’aveva fatta desiderare con ancora più brama.

“Avevo scoperto che ci provava con la sua segretaria”, disse lei con tono derisorio. “Te lo immagini? E tutto ciò, quando poteva avere me. La cosa mi ha fatto davvero arrabbiare”, aggiunse con cinica freddezza.

“E io sono stato la tua vendetta”.

“Chiamala come preferisci”.

“Con lui hai fatto di tutto per tenere nascosto ciò che c’era con me, o sbaglio?”

“Ciò che ho scelto di fare della mia vita, allora, è unicamente affar mio”.

“Il problema con me è che non rientravo nel circuito di persone a cui eri interessata, o sbaglio?”

“Esattamente”, assentì lei senza scomporsi.

“Mi hai fatto impazzire con il tuo comportamento. Scoparmi fino allo sfinimento per tutta la notte e poi al mattino, in ufficio, fare finta di non conoscermi. È stato davvero crudele, molto crudele… Ricordare fa male, ancora adesso”.

“Cosa ti aspettavi, che mi strusciarsi contro di te? Non volevo certo sembrare una troia”.

Una rabbia dimenticata gli ruggiva dentro. Non aveva neppure idea che ancora lo abitasse. “Tu eri molto brava a farmi sentire…”

“Non ti facevo sentire proprio un bel niente”.

“Ho cominciato a vedermi perduto quando, per incontrarti, mi hai costretto a fissare gli appuntamenti con settimane di anticipo. Adesso la cosa fa quasi ridere, ma allora per me era abbastanza da…”

“Stavo cercando di farti capire che non ero più interessata a te. In quale altro modo avrei potuto fartelo intuire? Non c’è una strategia giusta in situazioni simili”.

“D’accordo, sono stato un idiota… Ma quello che non riesco ad afferrare è perché tu sia venuta a letto con me più volte, anche quando in teoria non nutrivi più alcun interesse nei miei confronti. Ti rendevi conto di quel mi stavi facendo?”

“Non mi sento alcuna responsabilità addosso. In quel momento, volevo solo sesso”.

Karson scosse la testa. Alla fine, aveva quasi raggiunto la verità. “Beh, se ciò che volevi era farmi impazzire, ci sei riuscita”.

“Non stavo cercando di farti un bel niente. Sei tu che a un certo punto hai sbarellato. Sei diventato il tipo che si presenta a casa mia nel bel mezzo della notte…”

Karson trasalì al ricordo. Ogni volta che gli si ripresentava nella mente, rabbrividiva. Era forse tra tutti il più doloroso, il punto più basso della sua vita di maschio. Il suo desiderio per lei l’aveva ridotto all’idiozia.

“… con la scusa, per di più, di essere rimasto senza benzina, quando semplicemente passavi di lì e ti serviva un posto dove sbattere la testa. Mio Dio, sei stato davvero patetico!”

Sì. Non poteva certo negarlo, era stato patetico. Incredibilmente, imperdonabilmente stucchevole, e si trattava di un qualcosa a cui non avrebbe più voluto pensare, ma che proprio non riusciva a dimenticare.

“Tutti, almeno una volta nella vita, si sono resi ridicoli”, disse lui. “In seguito, mi sono sentito umiliato… imbarazzato… pieno di vergogna per ciò che avevo fatto. Ecco perché sono felice che anche la giovinezza sia passata”.

Si lasciò andare a una risata di scherno nei confronti di sé stesso. “Bene, direi che può bastare”, doveva proprio andare. Liz Darcy era riuscita per l’ennesima volta a fargli perdere le staffe.

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E un attimo prima che lui la salutasse, lei pronunciò tre parole che lo lasciarono di ghiaccio: “Mi hai violentata”.

Karson sbatté le palpebre, come avesse ricevuto uno schiaffo.

Doveva per forza aver sentito male.

“Come? Che hai detto…?”

“Sai la notte che sei arrivato di soppiatto nel mio appartamento”.

“Sì?”

“Mi hai violentato”.

No. Non aveva capito male.

“Quella parola non si può sentire”.

“Non ci sono altre parole”, disse Liz Darcy, con quei suoi occhi neri, un tempo così sensuali, piantati in quelli di lui.

“Non so davvero di che accidente tu stia parlando”.

“Io stavo già dormendo, quando ti sei presentato. Come una stupida, ti ho lasciato entrare perché credevo che avessi davvero bisogno d’aiuto. Poi hai cominciato a starmi addosso. Hai preso a toccarmi. Mi hai spinta verso il letto…”

Karson scosse la testa in modo convulso.

“Come?! Ehi, fermi tutti. Tu ci stavi eccome quella notte. Ci stavi con tutta te stessa”.

“Quel che è successo quella notte non è stato solo sesso”.

“Per quel che ricordo io”, disse Karson, “l’abbiamo fatto ed è stato bello, come sempre”.

“Io non volevo. Sei tu che mi hai spinto a farlo”.

Il cuore di Karson mancò qualche battito.

“Mio Dio, ma di che diavolo stai parlando?”

“Non è accaduto quel che credi tu, quella notte. Fu violenza. Tu mi hai usato violenza”.

Karson si sentì improvvisamente spaventato e, al contempo, indignato.

“Tutto ciò è… ridicolo. Una stronzata. A meno che io non sia completamente fuori di testa, a te piaceva. Il tuo corpo si muoveva col mio. Insomma, non mi hai mica detto che…”

Il tono della sua voce si era fatto più alto, diversamente da quello di Liz Darcy.

“Non mi è piaciuto per niente. Quello che pensavi tu non era la realtà che stavo vivendo io”.

A quel punto stavano davvero litigando, nessuno tra i passanti, però, si fermò a guardarli.

“Davvero non capisco di che cosa noi si stia discutendo”, protestò Karson. “Comunque sia, sono passati tanti anni che…”.

“Non importa quanto tempo sia trascorso. Io non l’ho mai dimenticato. Non ho mai dimenticato quello che mi hai fatto”.

Pur essendo quasi paralizzato, Karson stava al contempo cominciando a metabolizzare la cosa.

“Sono senza parole. Io non avevo idea che…”.

“Forse è un bene che ci si sia incontrati”, disse lei annuendo. “Forse adesso hai almeno una vaga idea di ciò con cui ho dovuto convivere per tutti questi anni”.

“Aspetta un secondo, calma un attimo. Quella notte, io non ho mai sentito da parte tua la parola ‘no’. Non c’è stata una volta in cui ti sia sfuggita qualcosa di simile dalle labbra. Se l’avessi sentita, mi sarei fermato in qualsiasi momento – un no è un no. E questa è follia. Una follia totale”.

“Lo sarà per te. Non per me”.

Era come stordito. Al limite di quello che avrebbe potuto essere un attacco di vertigini. Improvvisamente, niente sembrava più reale, non il marciapiede sotto i suoi piedi, non Liz Darcy e neppure la sua persona. Era quella la cosa più terribile: aveva iniziato a dubitare di tutto ciò che vedeva. Era davvero possibile che lui avesse commesso un crimine, senza neppure rendersene conto? Come poteva essere che avesse violentato una persona senza sapere di farlo? Il pensiero lo faceva sudare freddo.

“Però non sei mai andata dalla polizia, giusto?”

“Ci ho pensato. Lungamente, ed è stata dura”.

Lui continuava a scuotere la testa, come fosse stato preso a pugni.

“Nessuna mi ha mai accusato, mai, mai e poi mai, di…”.

“Non è un’accusa priva di fondamento la mia”.

In preda all’ansia, Karson si asciugò la fronte con la manica della giacca. Si guardò intorno, come in cerca di una via di fuga.

“Cosa hai intenzione di fare”, chiese umilmente lui. “Non vorrai agire adesso spero?”

Non riusciva a crederci. Non era possibile che un’innocua puntata all’ufficio postale fosse finita così.

“Non ne ho idea. Non so cosa farò”.

Doveva esserci qualcosa come un termine di prescrizione, lo sapeva, ma era troppo sconvolto e confuso per pensare quale fosse. Del resto quando mai aveva dovuto pensare, in passato, a qualcosa di simile?

Si sentì venir meno. Non vi era ragione per lottare ed esasperare ulteriormente una situazione già così difficile.

“Spero proprio non lo faccia. Ho una moglie e dei figli… una casa… una posizione. Se la cosa dovesse venir fuori in qualche modo, se finisse sui social media, o…”

“Anche io ho un marito, dei bambini e una posizione. Ma cosa c’entra tutto ciò?”

“Sto solo dicendo… Se divenisse un caso, io sono fottuto, completamente fottuto”.

Era ormai furioso, in preda a un’istintiva reazione di difesa, dovuta al sentirsi sotto scacco per qualcosa che lui era convinto di non aver commesso.

“Cosa ti fa pensare che tutto ciò non l’abbia già fatto tu a me?”, replicò lei.

“Questa cosa non ha senso. È una fottuta stupidaggine. Vuoi di nuovo farmi impazzire, sei…”

“Io devo andare”, disse Liz Darcy improvvisamente.

Cercando di fermarla, Karson si mosse per afferrarle il braccio, poi ci ripensò.

“Insomma cosa hai intenzione di fare”, insistette lui.

“Farò quel che avrò deciso di fare. Non ti debbo alcuna spiegazione”.

L’orribile immagine di poliziotti, avvocati e aule giudiziarie si materializzò improvvisamente nella mente di Karson.

“E cosa dovrei fare io adesso, pregarti? È questo che ti aspetti da me?”

“Che tu lo faccia o meno, non ha alcuna importanza. Non mi interessa”.

“Senti, ti sto pregando. Ti sto pregando di lasciar correre. Lascia perdere, davvero. Che senso avrebbe fare un caso di Stato di tutto ciò, adesso, dopo tutto questo tempo?”

“Continui a non afferrare il punto”.

“Semplicemente, non ho fatto quel che tu sostieni. E, se adesso ammettessi il contrario, tu penseresti che…”

“Non abbiamo altro da dirci”, sbuffò Liz Darcy.

“Ascolta, mi rimetto al tuo buon cuore. Che vuoi di più da me?”

“Niente. Ti ho già detto che non voglio niente da te”.

Karson era più che infastidito. Era furibondo. Pietrificato.

“Ma Cristo Santo… Tu sei fuori di testa. Sei malata. Sadica. Sei…”

“Ah, sarei io quella malata, quella sadica?”

Karson stava di fronte alla sua accusatrice, con gli occhi fuori dalle orbite. Era ormai privo di speranza. Realizzò di trovarsi fatalmente con le spalle al muro e che prolungare una simile schermaglia non avrebbe portato da nessuna parte.

“Bene. Siamo tornati dove avevamo cominciato, praticamente?”

“No. È qui che finisce tutto”.

Liz Darcy girò sui tacchi ed entrò nell’ufficio postale, lasciando Karson sbigottito sul marciapiede.

“Davvero mi stai gettando addosso tutta questa merda?”, disse a voce alta. “Cazzo, sul serio?”

Di lì a breve, qualcosa in lui si mosse e reagì. Avvertì l’urgenza improvvisa di contattare la moglie, seduto alla sua cara vecchia scrivania.

Prese a camminare. Poi si fermò e tornò indietro, una volta ricordatosi che la sua macchina era parcheggiata nella direzione opposta, all’angolo della Worthington Avenue. Piuttosto che passare di fronte all’ufficio postale e rischiare così di rivedere un’altra volta Liz Darcy, preferì attraversare la strada.

Mark SaFranko

Sull’autore del racconto:

https://marksafranko.com/

Sul traduttore:

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81

Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14

Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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