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ADDIO MAESTRO – IN MORTE DI MAURIZIO POLLINI (di Davide Cavaliere)

Maurizio Pollini si è spento a ottantadue anni. Una figura leggendaria nel mondo della musica. Un pianista brillante e versatile, dotato di un talento eccezionale nel rivelare l’essenza dei capolavori musicali, quali che fossero, da quelli di Bach a quelli degli amici Luigi Nono e Pierre Boulez. Le sue interpretazioni costituiscono una pagina fondamentale della riflessione musicale del nostro tempo.

Iniziò a suonare il pianoforte all’età di cinque anni, tenne il suo primo recital all’età di undici e, nel 1956, eseguì a Milano, sua città natale, tutti gli stupefacenti Études di Fryderyk Chopin

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Nel marzo 1960, appena diciottenne, si guadagnò la stima del grande pianista ebreo Arthur Rubinstein, vincendo il Concorso Chopin di Varsavia. Col tempo dimostrò di essere uno degli “chopinisti” più eccezionali di sempre. Il suo punto più alto, in tal senso, lo toccò con la Polonaise in fa minore, op. 44.

Amico intimo di Claudio Abbado, con il quale condivise, oltre al talento musicale, anche la fede comunista, alla fine degli anni Sessanta, partecipò a concerti improvvisati nelle fabbriche e a serate musicali per studenti e operai alla Scala, diretti dal sopracitato Abbado, che intendeva così “democratizzare” la musica colta e quella d’avanguardia. Un tentativo che si rivelò fallimentare: i metalmeccanici, infatti, non apprezzarono Igor Stravinsky, Arnold Schönberg e Anton Webern.

Rimase, però, impegnato in cause sociali per tutta la vita, e fu particolarmente critico coi governi di Silvio Berlusconi, avviando parallelamente un ripensamento critico sulla Sinistra rivoluzionaria. In lui rimase presente la dimensione utopica dei concerti per le classi subalterne, con il loro maldestro tentativo di far coincidere l’arte e la vita, il lavoro e la bellezza, che a un certo punto trasferì totalmente nella musica, con la ricerca estenuante della perfezione nell’esecuzione.

Pollini si è distinto soprattutto come interprete del repertorio romantico: Ludwig van Beethoven, Robert Schumann, Franz Schubert e Johannes Brahms. La critica ne ha celebrato la raffinatezza, la concentrazione incrollabile e la chiarezza adamantina.

Nel 1980, vinse il Grammy Award nella categoria “migliore esecuzione classica – solista strumentale” con il Piano Concerto N. 1 e 2 di Bartók insieme alla Chicago Symphony Orchestra. Nel 2007, grazie al suo album dei Notturni di Chopin, vinse un secondo Grammy per la “performance strumentale solista”.

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Nessuno dubitò mai della sua padronanza tecnica, che era pressoché assoluta, ma vi furono ascoltatori che trovarono le sue interpretazioni fredde e dure. Harold C. Schonberg, critico musicale capo del New York Times, riassunse così le argomentazione contro Pollini: “rifiuta ogni fervente impegno emotivo, produce semplicemente suoni belli, ben organizzati e impersonali”.

Harris Goldsmith, un altro critico musicale, definì il modo di suonare di Pollini “quasi interamente geometrico”, al punto da vedervi “una controparte musicale di Mondrian”. Cerebrale, dunque, con quadrati di colore.

Per tutti gli altri ascoltatori, fu semplicemente uno dei più grandi artisti del suo tempo, un musicista che offriva un suono chiaro, pulito, lineare e proporzionato, capace però di produrre momenti di freschezza inaspettata. Daniel Cariaga, critico musicale del Los Angeles Times, una volta scrisse che “il signor Pollini entra sul palco come chi entra in una chiesa. Un simile approccio non solo tende a ricordarci la natura fondamentale dell’arte; ma fa sembrare frivoli anche gli altri professionisti del settore”.

Per lui furono scritte diverse composizioni: Sofferte onde serene di Luigi Nono, Masse: omaggio a Edgar Varèse di Giacomo Manzoni e la Quinta Sonata di Salvatore Sciarrino.

Il direttore d’orchestra e compositore Boulez, nel 1993, provò a descrivere Pollini per il New York Times: “Non dice molto, ma pensa parecchio. Lo trovo molto concentrato su quello che sta facendo. Va in profondità nella musica e non è superficiale, il suo atteggiamento di musicista è esattamente il suo atteggiamento di uomo”.

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Al di là delle critiche, per conoscere Pollini basta ascoltare, o riascoltare, le sue esecuzioni delle Variazioni Diabelli di Beethoven, le Klavierstück X  (1961) di Stockhausen, oppure una sonata virtuosistica di Liszt. Rendersi così conto della qualità del pianista: guizzante, smussato, millimetricamente concentrato, elegante.

Con lui, insomma, se ne è andato un musicista ancora legato a due idee spesso rifiutate dalla musica contemporanea: quella di bellezza e quella di perfezione. Ci lascia in un presente più misero, ancorché arricchito dalla sue meravigliose registrazioni.

Davide Cavaliere

L’AUTORE 

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.

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