“VOGLIO SOLO CONOSCERE CARVER”: L’INCONTRO TRA DUBUS E IL GENIO DELLA SHORT STORY, NEL RICORDO DEL FIGLIO ANDRE (di Matteo Fais)
Certo, per chi non è appassionato di letteratura la cosa risulterà insignificante – purtroppo, contro una certa ignoranza tronfia si può fare poco o niente. Per i veri intenditori, invece, sarà interessante leggere il poetico resoconto di un incontro epocale tra due maestri della short story americana della seconda metà del ’900, ovvero Raymond Carver e Andre Dubus.
Questo silenzioso colloquio, durato non troppo a lungo, quasi un dialogo tra due vecchi amici, avvenne a New York, in mezzo a una sala affollata. Ci restituisce memoria di esso Andre Dubus III, il figlio dell’autore e a sua volta scrittore di successo – in Italia, è conosciuto principalmente per La casa di sabbia e di nebbia, da cui è stato tratto anche un noto film interpretato da Jennifer Connelly, Ben Kingsley e Shohreh Aghdashloo. Lo fa nel libro recentemente uscito, Ghost Dogs: On Killers and Kin, una raccolta di saggi e ricordi personali che, manco a dirlo, da noi non ha ancora trovato possibilità di traduzione.
Era il 1988. Dubus è un appassionato e dedito scrittore, da un paio d’anni ridotto sulla sedia a rotelle da un incidente, mentre cercava di soccorrere dei feriti su strada. La sua opera è nota agli addetti ai lavori, ma ancora decisamente di nicchia. Carver, al contrario, si trova all’apice della propria carriera e sono dieci anni che è sobrio, dopo un lungo periodo di alcolismo. Finalmente ha guadagnato l’agognato successo, per quanto sia già affetto da un cancro al cervello che di lì a breve, nello stesso anno, ne spegnerà le possibilità creative per sempre. L’autore di Cattedrale deve essere ammesso nella American Academy of Arts and Letters, mentre Dubus ha vinto lo Jean Stein Award.
Naturalmente, alla cerimonia è presente tutto il gotha della letteratura d’oltreoceano: William Styron, Joyce Carol Oates, E. L. Doctorow. Il figlio di Dubus fa presente al padre della curiosità che lo anima, da giovane scrittore, di incontrare tutti quei mostri sacri riuniti in una sala. Dal suo punto di vista, invece, lui ha una sola mira: “I just want to meet Carver” (Voglio solo incontrare Carver).
È vero che i due non si sono mai visti né sentiti, ma Dubus, nei suoi corsi di scrittura creativa, ha spesso usato i racconti di Carver come modello da trasmettere ai propri studenti. A quanto pare, come è giunta voce da amici in comune, anche quest’ultimo ha dato i lavori del primo da leggere durante le sue lezioni.
E così accade. Dubus, intrappolato sulla sedia a rotelle, manda il figlio in ricognizione, una volta giunto in loco. Lui lo vede. È lì, contro il muro, un bicchiere d’acqua in mano, che fa di tutto per non essere notato, per non presentarsi come l’ospite d’onore, cosa che invece è a pieno titolo, visto che anche la buona società letteraria vuole inserire nel novero quell’ex lavoratore manuale e garzone di bottega.
Il giovane gli va incontro, si presenta. Avendo il medesimo nome del padre, Carver resta un poco spaesato – giustamente, si immaginava un uomo ben più in là negli anni. Chiarito l’equivoco, lo invita a seguirlo. La gente lo osserva mentre guida il famosissimo scrittore in mezzo alla folla.
Quando si incrociano gli sguardi, è come un rendez-vous tra vecchi amici, o meglio sarebbe dire tra compagni di sbronza. Dubus sorride e spalanca le braccia: “Eccolo qui”. Lo abbraccia, gli sfrega virilmente la mano sulla schiena, per poi invitarlo a sedersi. I due si avvicinano, parlano piano e, nelle parole del figlio, “è stato come se avessero ripreso una conversazione iniziata tempo prima da qualche altra parte, come se fosse un’abitudine per loro, malgrado non ci fosse mai stata occasione”. Dopo un poco, finiscono a parlare, in breve, delle rispettive disgrazie. Quando Carver è costretto ad andarsene, per l’inizio della cerimonia, Dubus gli dice semplicemente, stringendogli la mano in uno dei suoi tipici slanci di affetto, “Ti voglio bene”. L’altro ricambia, commosso.
In quella stessa sala, Dubus figlio tornerà 24 anni dopo, a ricevere un premio per una sua pubblicazione. Rivedrà lo stesso tavolo a cui sedettero due dei più grandi, “due uomini che dichiararono l’uno il proprio amore per l’altro, quel pomeriggio, conoscendosi unicamente per il lavoro svolto, le loro storie”.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).