RASSEGNARSI ALLA NON ESISTENZA DELLA DONNA PER COME L’ABBIAMO LUNGAMENTE INTESA (di Matteo Fais)
“O donna in cui la mia speranza vige,/ e che soffristi per la mia salute/ in inferno lasciar le tue vestige,/ di tante cose quant’ i’ ho vedute,/ dal tuo podere e da la tua bontate/ riconosco la grazia e la virtute” (Dante Aligheri, Paradiso, cant. XXXI, 79-84).
“Qualsiasi anche approssimativa analisi dell’umanità dovrebbe necessariamente tener conto di casi come questo. È storico: esseri umani di questo tipo esistono. Esseri umani che lavorano per tutta la vita, e lavorano duro, solo per abnegazione e per amore; che per spirito di abnegazione e di amore danno letteralmente la propria vita al prossimo; che tuttavia non hanno mai in alcun modo la sensazione di sacrificarsi; che in realtà non hanno mai immaginato maniera di vivere diversa da quella di dare la propria vita al prossimo per spirito di abnegazione e di amore. In pratica, questi esseri umani sono generalmente delle donne”: così dice Michel Houellebecq, tra i più grandi scrittori al mondo, della nonna di Michel Djerzinski, uno dei due protagonisti del suo capolavoro, Le particelle elementari.
Chiunque abbia almeno 35-40 anni potrà, se ha avuto un po’ di fortuna, riconoscere una figura di sesso femminile incontrata da infante e presumibilmente nata tra il principio e gli anni ’30 del secolo scorso, il compianto 900. Insomma una brava signora che ha usato la sua sensualità in un brevissimo lasso di tempo, tendenzialmente conclusosi prima dei 30 anni, per spingere il marito a darle dei figli così da votarsi, successivamente, a un amore maniacale e vagamente soffocante nei confronti di questi.
I ragazzi avranno pertanto sempre avuto di fronte agli occhi un modello di donna inarrivabile, tutta dedizione, abnegazione come dice Houellebecq, sacrificio della propria vita sull’altare dell’esistenza dell’eternamente piccola creatura da proteggere. Inutile nascondere che dietro un simile tipo di rapporto vi era un qualcosa di morbosamente incestuoso e inquietante. Al contempo, le ragazze pensavano “Col cazzo che mi prenderò tutte le Croci che la mamma ha portato su per il Calvario, con la faccia gioiosa e invasata di un martire”.
Certamente a un tale prototipo, in una società a forte vocazione religiosa, ha contribuito l’idea tanto esaltata della Vergine Madre, un mistero che rivaleggia tranquillamente con quello della Trinità nella sua disturbante paradossalità. Non è un caso che tutti gli uomini o quasi delle passate generazioni abbiano avuto sinceri problemi ad amare oltre il Complesso di Edipo. Ragionevolmente, era troppo difficile per le altre gareggiare con una che, per essere donna, non ha avuto da sporcarsi con la miseria e la lordura del mondo. Tutto sommato, non è strano che le pensassero come “tutte puttane, salvo quella santa di mia madre”.
Oggi come oggi, è palese che continuare a inquadrare l’altro sesso in tal modo sarebbe da squilibrati. Non esistono Vergini Madri, non si può godere con una donna che ha i capelli che puzzano di pesce fritto, polenta e sugo, e non è vero manco per un cazzo che hanno tutte la vocazione a figliare. Le femmine condividono con noi bassezze e mancanze, turbamenti e abissi. Il resto sono tristi cameriere che ci possono far trovare la cena pronta, per cui non proveremmo mai una passione bruciante.
Inutile fare finta che quel mondo non sia morto e ancora più inutile esaltare una struttura ridicola, asfissiante, disumana perché basata su modelli e ruoli che non hanno niente a che vedere con la realtà.
Dunque, altro che Festa della Donna! Non c’è niente da lodare. Le femmine hanno finalmente dismesso quella maschera patetica di angeli del focolare. Non lo sono mai state, in verità. Sono semmai come noi, camminano sulla polvere e sul marcio, non ci aspettano all’ingresso del Paradiso, sono nostre compagne d’Inferno. Vada a farsi fottere Beatrice!
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
È vero , per mia madre crescere i figli è stata la vita, io spesso, benché li ami, l’ ho sempre fatto con un senso di sacrificio….ma poi in realtà cosa ti perdi?
“… Insomma una brava signora che ha usato la sua sensualità in un brevissimo lasso di tempo – tendenzialmente conclusosi prima dei 30 anni – per spingere il marito a darle dei figli, così da votarsi, successivamente, a un amore maniacale e vagamente soffocante nei confronti di questi.”
… Questa sarebbe la categoria femminil-materna tratteggiata da quella strana creatura eretica che è Esther Vilar, nel suo “L’uomo ammaestrato” (“fin dall’infanzia”, ci starebbe come sottotitolo): https://commons.wikimannia.org/File:Esther_Vilar_-_L%27uomo_ammaestrato.pdf .
Ma è anche ciò che si verifica quando va molto di lusso. In realtà, nei forum e blog maschili, sempre più uomini, rianalizzando la propria infanzia-adolescenza, stanno diventando in grado di enucleare una categoria materna alquanto diversa: non si tratta della madre maltrattante; quella è piuttosto rara, perché di solito viene sgamata precocemente (circuito della scuola, assistenti sociali ecc.).
Ben più insidiosa e diffusa, invece, è la madre “trascurante”, la quale riesce a camuffarsi abilmente (curando del bambino l’aspetto esteriore, nutrizionale ecc.): la tipica “madre per caso”, senza alcuna vocazione, concentrata su sé stessa, pensierosa e silenziosa, capace d’instaurare un’atmosfera domestica arida come un deserto; ma anche piuttosto brillante e rassicurante quando interagisce col figlio fuori di casa, in presenza d’altri.
C’è da evidenziare che le figlie femmine sono più precoci nell’emanciparsi dal modello materno, con cui si erano previamente identificate: la rottura del rapporto simbiotico, fino all’aperta contestazione e rifiuto, è infatti premessa salvifica per la loro individualizzazione. Non così per i figli maschi, i quali, essendo esenti sia dal modello che dal pericolo d’identificazione, restano più pigri nel processo di smitizzazione materna, che può richiedere diversi decenni e, di solito, riceve impulso dall’essere diventati genitori a propria volta.