VITTORIO FELTRI E I MERIDIONALI (di Matteo Fais)
Vittorio Feltri parte sempre, oramai, parlando, da un punto di vista vagamente autoreferenziale – cioè “io, io, io”. Bisogna anche dire che lui se lo può permettere, con quella mastodontica carriera alle spalle, esattamente come Montanelli. Personalmente, odio esistere, a livello di scrittura, come identità netta. L’impersonalità è una benedizione, la maschera più comoda da indossare sulla pagina.
Cionondimeno noi conosciamo il mondo attraverso la nostra esperienza, per quanto limitata questa possa essere, anche quando facciamo finta di ambire all’obiettività. È facile immaginare, partendo dalle esternazioni del famoso giornalista, che le sue interazioni con i Meridionali e il Meridione non siano state delle migliori.
Pur essendo io un Isolano, che onestamente l’Italia l’ha vista poco, per una sincera idiosincrasia per l’aereo, posso confermare che non ha tutti i torti, dal mio punto di vista, parlando del Sud. Anzi, detto fuori dai denti, io la gente da Roma in giù la sopporto malamente.
Per carità, la migliore accoglienza di questo mondo, nella mia vita, l’ho ricevuta a Napoli. Il punto è che era dettata dalla simpatia e appesa a un filo. So per certo che, se avessi detto una parola sbagliata, mi avrebbero preso a calci in culo e rimesso su un aereo. Certo, non avrebbero adottato chissà quale forma di dialettica.
Naturalmente non sto parlando solo di Napoli, città di una bellezza incantevole, da comprendere entro una logica tutta sua. Philippe Vilain, scrittore francese che in loco ci vive da tempo, l’ha ben interpretata, basti leggere il suo Napoli mille colori (Gremese Editore) – e non è il solo.
Il problema è che i Meridionali e gli Isolani sono in effetti ciò che sono. Prosasticamente, ti fanno diventare scemo. Non sono mai puntuali. Rimandano fino all’estremo. Se chiami un amico cagliaritano – sto parlando di Cagliari, mica di Milano! – e gli domandi di vedervi per una birra, questo ti risponderà “Ci aggiorniamo alla settimana prossima”, pure se si tratta di uno sfaccendato privo di impegni.
Nessuno conosce il motivo, ma in Terronia questa è la prassi. Le reazioni non sono mai immediate. Nessuno è chiaro. Pure se chiedi a una ragazza di uscire, non avrai mai una risposta inequivocabile, un sì o un no con cui fare i conti.
Ripeto, la puntualità non è certo il loro forte. Se per puro caso uno inizia ad avere a che fare, specie per questioni di lavoro, con i cosiddetti “continentali”, come li chiamano da queste parti, si stupisce per la loro correttezza. Se ti dicono che ti spediranno un articolo alle 18, lo fanno, pure se dovessero trovarsi con il padre in Pronto Soccorso in preda a un infarto. Sono persone serie, abituate a rispettare la tabella di marcia e gli impegni. Un sardo, tanto per dire, potrebbe mandarti a fanculo perché gli è piombata a casa la diddina, cioè la madrina di battesimo, con una torta.
Al Sud, ci vuole la pazienza di un malato cronico internato per avere a che fare con le persone. Se un amico ti dice che verrà alle 20, arriverà alle 20:30 – minimo. Insomma, non è solo una questione di mala gestione nazionale, se le cose, da queste parti, vanno sempre a ramengo.
Qui esiste solo la famiglia e gli altri possono pure crepare frattanto. Il tempo è un’opinione come neppure Sant’Agostino si sarebbe mai azzardato a ipotizzare. Dunque Feltri non ha ragione, ma neppure porta su di sé chissà quale torto a dire male dei Meridionali.
Certo, è assurdo che, per un’opinione, in questo Paese, si possa finire in tribunale. A ogni buon conto, posso garantire che io il noto Direttore l’ho intervistato diverse volte e mi ha sempre trattato con i guanti… Sarà perché ho chiamato all’orario stabilito.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81
Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14
Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
Sono un meridionale, già emigrato al Nord per lavoro – come milioni di altri -, e ora re-immigrato in pensione: non posso che darti totale ragione sulla tesi in generale, e sulla primazia della famiglia in particolare (ha a che fare col “familismo amorale”, anche se quella è una tesi sociologicamente controversa).
Quando si parla di “famiglia meridionale” si sta necessariamente parlando anche di “Grande Madre mediterranea” (Bachofen, Neumann, Bernhardt, Ferliga, Recalcati): uroborica, esigentissima, che monopolizza ogni energia mentale e fisica dell’uomo.
Posso confermare che le donne settentrionali e nord-europee sono assai meno controllanti (peraltro profondono meno energie in casa/famiglia) e i loro uomini si sentono più autonomi, e investono di più nelle relazioni lavorative/sociali ed extra-familiari.
A mio parere, l’investimento mentale in “attenzione” verso l’amico – una specie di “piccolo sforzo” di gentilezza e lealtà – rientra in una “economia energetica inconscia” dell’individuo e, attraverso le percentuali preponderanti o marginali, rivela ineluttabilmente la scala di valori attribuita alle varie relazioni (familiari, lavorative, amicali). Scala di valori, beninteso, che non è detto che sia del tutto spontanea o frutto di una cultura introiettata senza propria revisione critica: gli uomini meridionali fanno e pensano molte cose … “sotto ricatto” (indovinare di chi).