STORIA DI UN FEMMINIELLO NAPOLETANO: “SCENDE GIÙ DA TOLEDO” DI GIUSEPPE PATRONI GRIFFI (di Paride Candelaresi)
Ci sono alcuni libri che, se non ti cambiano la vita, quantomeno ti restano dentro più di altri. Non certamente si tratta di lavori che confermano quanto già abita la nostra mente. Io consiglio caldamente di non guardare alla classifiche e agli autori fintamente trasgressivi che fanno dell’emotività esasperata l’unico mezzo possibile per raccontarsi.
Suggerisco semmai narratori quali quelli di La montagna incantata, Viaggio al termine della notte, Il profumo o, ancora, Veloce come la notte. Tutti romanzi che parlano di vita e di morte, dell’amore, di bene, male e del tempo ideale per ogni cosa. È il caso anche del romanzo cult, imperdibile, Scende giù per Toledo (GOG Edizioni) di Giuseppe Patroni Griffi.
Non è facile raccontare i turbamenti e i sentimenti, le psicosi e le nevrosi, degli omosessuali di ieri e che, in alcuni casi, non sono tanto diverse da quelle di oggi. La storia di Rosalinda Sprint («all’inizio mi chiamavo Rosa di Napoli. Démodé»), femminiello napoletano, un travestito, un ricchione (termini come da testo, quindi evitiamo la noia mortale di ragguagliarci sul lessico moderno). La sua vita raccontata in queste pagine è una storia d’amore, disperata e barocca, come poche possono trovarsi in libreria. E difatti non si trovano: i volumi di Gog si possono acquistare esclusivamente sul loro sito.
L’amore è universale, poiché può manifestarsi in molte forme e declinazioni diverse. Può essere maturo e profondo, volto all’ascolto e allo scambio reciproco, aulico o romantico; oppure totalizzante e dolorosissimo, quando mette colui che lo sperimenta di fronte alle più abissali stratificazioni delle sue stesse debolezze, come l’impossibilità di essere quel che si vorrebbe. È ancora oggi quel che accade a molti appartenenti alla comunità omosessuale, talvolta spasmodici di allinearsi a dei canoni di virilità imposti, sì, dalla società, ma anche da loro stessi: andare in palestra per risultare più mascolini, vestirsi come gli altri, conformarsi.
Ciò non vale per tutti. C’è anche chi, per fortuna, non sentendosi a proprio agio in quei panni, vola alto alla ricerca del proprio essere in modo più o meno appariscente, con pizzo e merletti e “rose di garza celeste, nera picchiettata d’oro, rose di seta rossa, di folgorante verde, rose tea di velluto, glicini di tulle lilla, margherite di panno lenci, mimose di capocchie di fili di cotone sfioccate, e file di scarpe, scarpe a punta acuta, a punta quadrata, da passeggio, da sera in raso, vecchi tacchi a spillo, supertacchi modernissimi, ortopediche”, come succede a Rosalinda.
L’amore perfetto dovrebbe essere quello che tutto dona e nulla chiede in cambio, dicono alcuni. Sarà forse per questo che proprio lui, il femminiello di Napoli, protagonista di questa storia delicatissima e a tratti respingente, si concede con tutto il suo sé a Gaetano, un maschio che sa davvero di maschio, uno di «quelli che vogliono fare e scomparire perché si vergognano di te e di loro».
Sono eccitanti e dolcissimi, gli incontri di questo gracile essere umano alla ricerca disperata dell’amore mai ricevuto e, dunque, di accettazione. Rosalinda, prostituta per necessità sotto l’egida della ben più esperta Marlene Dietrich, è eccitata da quei maschi le cui gambe virili si allargano all’altezza dei fianchi e si allargano verso i piedi, i maschi con i loro corpi forti, desiderosi e sempre scattanti. Amore come quello violento ma irrimediabilmente ipnotizzante e bramato del cugino Gennaro: «Nella stanza vuota, Rosalinda Sprint e Gennaro e letto, formano un gruppo marmoreo in memoria dei caduti d’una guerra non ancora combattuta». E Rosalinda si sente amata, posseduta, più di quanto le donne biologiche sarebbero in grado di ammettere: «Gennaro la fotte e Rosalinda Sprint si sente fottuta – sensazione rara nel suo mestiere. […] Continuò a fotterla con andamento esasperante che toglie il fiato che già hai capito ti porta al manicomio avanti di raggiungere la distruzione finale. Sa che sarà la sua follia, sa che dal momento che si staccheranno incomincerà a ricercarlo, sa che la sua vita ne sarà avvelenata perché certo le cose non andranno lisce, troppo bello sarebbe…».
Sembra di essere in un film di Fassbinder a leggere i passaggi poetici di Patroni Griffi volti a descrivere gli eccessi, le tenerezze e le isterie della caricata creatura protagonista, consapevole e autentica come solo pochi omosessuali oggi saprebbero essere. Come quando incontra il militare Jack in versione maschile, ma poi si palesa a lui al femminile, con i capelli lunghi e gli abiti da donna, e lui le dice: “«Che significa questa mascherata? Eri così carino». «Non lo sono più?». «Non capisco. Eri un ragazzino triste con un culetto allegro». «E ti sbagliavi, lo sono una ragazza allegra con un culetto triste, perciò ti vengo a cercare»”.
O ancora quando i due, passando la loro ultima notte insieme, fondono eros e thanatos per sempre. Non si vedranno più dopo quell’incontro peccaminoso. Rosalinda si strugge; Jack, innamorato, si concentra sul raggiungere tutto il piacere possibile. «Nell’apoteosi dorata d’una settecentesca raggiera d’altare agonizzano nel letto glorioso di macchie di sperma, in un gorgoglio di sangue che fugge dai loro corpi aperti. La rivelazione suprema è abbagliante – non muore sola Rosalinda Sprint, muore con l’amante ed è lei a dare il godimento della morte a entrambi. Di quante coltellate t’ho decorato mentre te ne venivi? Più te ne davo più godevi. M’hai esalato l’anima in culo. Ho rivolto il coltello contro di me e quante bocche avevo aperto sul tuo corpo tante ne ho aperte sul mio, e nella stessa direzione, che si potessero baciare».
Non è sempre facile destreggiarsi nello stile di scrittura nevrotico dell’autore che, quando funziona (cioè nella maggioranza dei casi), ha piombo da sparare: «Il tuo ritmo implacabile ho sentito che s’imbrogliava coi battiti del mio cuore, li accavallava fino allo spavento che mo s’arresta – ma tu cuore, Gaetano, nix. La tua pelle liscia s’increspa in folate di ebbrezza che scorrono rapide dai piedi fino alla radice dei capelli – ma sangue nelle vene».
Al suo stile si presume non debbano poco i dialoghi dei buchi neri di Corsicato e molti bravi scrittori contemporanei della Napoli di oggi (penso a Forgione e a Nativo). Lo sfarzo della scrittura risiede nel saper mescolare la decadenza dell’amore dei nostri tempi con l’erotismo più tenero e primitivo.
Consiglio questo libro a tutti coloro i quali si sentono parte di una comunità oggi sempre più confusa e pretenziosamente consolatoria e i cui sorrisi ostentati nelle foto patinate di ogni giorno nascondono terribili verità interiori. E a coloro i quali vogliano sondare, oltre le apparenze, la profondità e la dolcezza dell’amore più assoluto.
Paride Candelaresi
Email: paridecandelaresi@alice.it
WhatsApp: 345 8701353
Instagram: Leggendoatestaalta https://instagram.com/leggendoatestaalta?igshid=1omy5v5upqgmo
L’AUTORE
Paride Candelaresi, 35 anni, ciociaro fuori e sabaudo dentro. Scrive per diverse testate locali e va dritto al punto. Propaga fervori sulla sua pagina Instagram dedicata ai libri. È consigliere comunale e Presidente della Commissione Cultura del Comune di Asti. Sostiene “Do fastidio, ma ho il cuore tenero”.