MEDITAZIONI SARTRIANE – “IO NON HO AVUTO AVVENTURE”, OVVERO LA DIFFERENZA TRA ARTE E VITA (di Matteo Fais)
“Ed il racconto prosegue a ritroso: gli istanti hanno cessato d’ammucchiarsi a casaccio gli uni sopra gli altri, sono ghermiti dalla fine della storia che li attira, e ciascuno di essi attira a sua volta l’istante che lo precede” ( Jean Paul Sartre, La Nausea, Einaudi).
Cos’è che piace tanto ai lettori di romanzi, come agli spettatori di cinema? Cosa ci colpisce, per esempio, delle sfortunate vicende della vita di Madame Bovary? Vi è questa povera donna che cerca di sfuggire dalla miseria di un’esistenza borghese già delineata, priva di scossoni emotivi, probabilmente senza averne i mezzi ed essendo semplicemente intrisa in cuore da fantasie da romanzetti d’appendice. Nel suo abbandonarsi alla passione, sappiamo già che lei giungerà al baratro ed è ciò che ci commuove. Emma è condannata fin dalle prime righe. In lei cova la tragedia come un destino che attende solo di dispiegarsi, in qualche centinaio di pagine, agli occhi del lettore.
Similmente potremmo dire che quella struggente rappresentazione di come l’amore tossico sia comunque un sentimento degno di nota, ovvero Eternal Sunshine of the Spotless Mind, ci emoziona perché rende inevitabile un incontro voluto in cielo. I due protagonisti, che si ritrovano pure dopo essersi reciprocamente cancellati l’uno dalla memoria dell’altra, ci confermano che l’amore è davvero un miracolo, come abbiamo sempre voluto credere con ogni fibra del nostro corpo, che se due sono fatti per stare insieme la passione, come un cupido che non agisce mai a caso, troverà, attraverso oscuri sentieri, la sua strategia per unirli.
Per capire dove risieda il problema, il terrificante scarto tra vita e rappresentazione artistica di questa, non resta che tornare al sempre insuperato e insuperabile Jean Paul Sartre e al suo romanzo capitale, La Nausea. Ricorderete che il protagonista, Antoine Roquentin, oltre a essere ossessionato dalla mera esistenza insensata delle cose e della vita umana, rimugina continuamente su una canzonetta jazz. Questa – che esiste realmente – si intitola Some of These Days, “è un vecchio ragtime con ritornello cantato. L’ho sentito fischiettare nel 1917 da soldati americani per le strade di La Rochelle. Dev’essere di prima della guerra. Ma l’incisione è molto più recente”.
Come non condividere il suo trasporto, mentre ascolta il dolce motivetto che gli avvolge il pensiero come una delicata nuvola di fumo nel locale che è solito frequentare (“Tra un momento ci sarà il ritornello: è soprattutto questo che mi piace e la maniera improvvisa con cui si getta avanti come una scogliera contro il mare. Per ora suona soltanto il jazz, non v’è melodia, solo note, una miriade di piccole scosse. Non hanno sosta, un ordine inflessibile le fa nascere e le distrugge, senza mai lasciar loro l’agio di riprendersi, di esistere per se stesse. Corrono, s’inseguono, passando mi colpiscono con un urto secco, e s’annullano. Mi piacerebbe trattenerle, ma so che se arrivassi ad afferrarne una, tra le dita non mi resterebbe che un suono volgare e languido. Devo accettare la loro morte; devo perfino volerla: conosco poche impressioni più aspre e più forti”). In quei momenti, per qualche istante, anche la sua proverbiale nausea esistenziale conosce un piacevole momento di tregua e lui torna a respirare liberamente.
Ma c’è un fatto che si impone alla sua attenzione, ovvero la differenza tra la forza della struttura della melodia e l’andamento privo di direzione della sua esistenza (“Mi procura tanta gioia una negra che canta, quale colmo di felicità non raggiungerei se fosse la mia vita stessa a formare la materia della melodia!”). Ecco il punto: l’esistenza non ha quella stretta successione, quella consequenzialità della canzone in cui l’accordo finale rimanda a quello iniziale. Un brano musicale, come un libro, non è fatto di note o di parole, ma di un insieme di queste che vanno a costituire una totalità, una massa compatta e coesa, monolitica, votata a uno scopo, sia questo di suscitare malinconia o gioia.
È per tal motivo che Roquentin, nel paragonare la propria vita all’opera d’arte, può dire di non aver mai avuto avventure: “Mi son capitate delle cose, dei fatti, degli incidenti, tutto quel che si vuole. Ma non avventure […] Insomma, m’ero immaginato che in certi momenti la mia vita avrebbe potuto assumere un’essenza rara e preziosa. Non c’era bisogno di circostanze straordinarie: chiedevo soltanto un po’ di rigore […] Ho saputo d’improvviso, senza ragione apparente, d’aver mentito a me stesso per dieci anni. Le avventure sono nei libri. Naturalmente tutto ciò che si racconta nei libri può accadere davvero, ma non nello stesso modo. Ed è a questo modo ch’io tenevo tanto”.
Il punto è lì, per quanto adombrato. Si sente un’idea che sta per esplodere tra le mani. “Innanzitutto sarebbe stato necessario che gli inizi fossero stati veri inizi”. Per intenderci: avete presente quando nel film si sente una musica più o meno intensa, delle volte minacciosa, che annuncia l’approssimarsi di un evento? Ciò è proprio quel che manca nella vita, un senso di continuità e coesione forte, un’ossatura per cui “ogni istante compare soltanto per condurre quelli che seguono”.
Sì, la vita è priva di ordine, il destino latita, niente dice qualcosa di ciò che sarà, il determinismo è un’idiozia, immaginazione da marxisti. Ma, allora, perché noi continuiamo a pensare come se vivessimo entro un romanzo o una pellicola? Sartre lo chiarisce senza equivoci: “È questo che trae in inganno la gente: un uomo è sempre un narratore dì storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la sua vita come se la raccontasse”. Marshall McLuhan direbbe che la diffusione del romanzo ci ha fondamentalmente fregati, portandoci a traslare la sua struttura su quella della nostra esistenza.
In realtà l’uomo ha sempre creato storie per fuggire dal caos della realtà, dal suo affastellare eventi in modo scriteriato. Non si è incontrato quella donna perché il giorno si è usciti disperati e spettinati, senza oramai più alcuna ambizione sentimentale. Semplicemente, come dice l’autore francese, “Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto. Non vi è mai un inizio. I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo né coda, un’addizione interminabile e monotona. Di tanto in tanto si fa un totale parziale: si dice: ecco, sono tre anni che viaggio, tre anni che sono a Bouville”.
Davvero, molto semplicemente, noi ci raccontiamo e nel farlo distorciamo l’andamento dell’esistenza: “quando sì racconta la vita, tutto cambia […] gli avvenimenti si verificano in un senso e noi li raccontiamo in senso inverso. Sembra che si cominci dal principio: «Era una bella serata dell’autunno 1922. Io ero scrivano di un notaio a Marommes». E in realtà si è cominciato dalla fine. La fine è lì, invisibile e presente, ed è essa che dà a queste poche parole l’enfasi e il valore d’un inizio”.
Fondamentalmente, nel narrare la nostra vita noi tentiamo di acchiappare “il tempo per la coda” ed ecco che, magicamente, essa si presenta come un’avventura, ricostruiamo un destino sotteso lì dove non c’era se non una serie di eventi irrelati l’uno all’altro. Per questo le persone più sensibili amano tanto l’arte perché, pur avendo intima cognizione della vita e del suo essere un processo privo di una qualsivoglia ratio, desiderano di ritrovare nella ricostruzione artistica un senso nella realtà sempre impossibile da raggiungere. Ma non c’è niente da fare: l’arte è pensata, non può sfuggire alla coesione; l’esistenza semplicemente accade.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).