DIMMI COSA PENSI DEL CASO DI ILARIA SALIS E TI DIRÒ A CHE DESTRA APPARTIENI (di Matteo Fais)
Vi ricordate quando la macchina repressiva dell’Unione Sovietica… Pardon, dello Stato Italiano, è andata a rompere il culo ai portuali di Trieste in lotta contro il green pass? Allora, tutti gridavano al sopruso governativo, alla violazione delle libertà civili ed esaltavamo degli uomini liberi che lottavano contro un potere soffocante.
Tutto bellissimo, ma la difesa della libertà che disturba vale non solo quando a essere presi di mira siamo noi. Certo, poi, il caso di Ilaria Salis è peculiare: lei si è recata in un altro Paese e, secondo l’accusa, ha aggredito delle persone – simpatizzanti del nazismo – mentre stavano manifestando. Sempre stando alle informazioni passate dai giornali, aveva con sé un manganello retrattile – a quanto pare, non era molto diversa dai suoi avversari.
Insomma, ci sarebbero tutti gli estremi per non provare esattamente simpatia nei suoi confronti e sperare che il regime di Viktor Orbán faccia il suo dovere. Ma con che faccia noi che siamo scesi in piazza a rivendicare i nostri diritti, che siamo entrati nei centri commerciali, per protesta, senza indossare la mascherina, gridando “Su, forza, chiamate la polizia”, possiamo dire, adesso, che è giusto se, come si sostiene, la Salis è stata sottoposta a un regime carcerario disumano?
Detto fuori dai denti, se le avessero dato una brutale ripassata a schiaffoni, messa su un aereo e rispedita a casa a calci in culo, forse – ma proprio per dire – si sarebbe potuto anche sorridere – “se te la cerchi, la trovi, tesoro!”. Ma un anno di carcere, alle condizioni descritte, tra topi, cimici e poco cibo, ammesso che sia vero, non è esattamente la stessa cosa – tanto più che rischia di trascorre 11 primavere entro quelle 4 mura.
Alla fine, siamo sempre lì: è come dichiararsi di Destra e simpatizzare per Putin, o sostenere Hamas. Non ci siamo, non funziona. È un cortocircuito! Per quanto la ragazza possa avere tutti i torti di questo mondo, un trattamento simile – se accertato – non lo si può tollerare.
Naturalmente, i difensori del conservatorismo in salsa Orbán diranno che “tutto sommato” nel “presunto mondo democratico” non va meglio, che vi sono tanti abusi. La qual cosa è certo vera, con la differenza che, quando qualcosa emerge, l’opinione pubblica si indigna e la discussione va avanti per anni.
Tutti si ricordano di Stefano Cucchi, o della Scuola Diaz, e quel sangue non si può certo dire che non abbia lasciato un segno nell’immaginario della Repubblica. In particolare, l’idea di poter entrare in carcere per una notte e uscirne con i piedi davanti ha scosso le coscienze e acceso gli animi. Una certa qual innocenza delle masse, dopo aver appreso del fatto, è tramontata per sempre.
Ora, per quanto sia difficile provare una qualche vicinanza con quella giovane maestra elementare, non si può neppure pensare che, ogni qualvolta non ci vada bene, sia giusto schiacciare chiunque abbia una posizione, dal nostro punto di vista, inammissibile. Alla fine, ci vuole sempre la reciprocità e il principio più sacro è “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
“… un anno di carcere […] tra topi, cimici e poco cibo …”.
Da verificare; sono scettico. Una volta esclusi trattamenti inumani, che l’antifa si faccia i suoi 11 anni; muta e rassegnata.