IL CASO LUCARELLI DIMOSTRA CHE I SOCIAL, IN MANO A QUESTA OPINIONE PUBBLICA, POSSONO SOLO FARE DANNI (di Matteo Fais)
La democrazia è qualcosa di bellissimo, ma essa non è solo un valore. Richiede anche metodo, disciplina. Con un paragone ardito, si potrebbe dire che è un po’ come le arti marziali: se non rispetti le regole, se valgono tutti i colpi, si fa presto a passare dal combattimento alla rissa da strada.
Troppa gente pensa che libertà di parola voglia dire libertà di sputare bile e veleno in ogni spazio in cui si possa scrivere o aprire bocca. Come sempre, alla base c’è un’errata comprensione del concetto: libertà non è caos. Con i versi della famosa canzone, si potrebbe dire che “libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Più propriamente, essa si configura come partecipazione nel senso che implica una responsabilità. Si può immaginare un insegnante che entra in una classe e, con voce stentorea, dice ai ragazzi: “Oggi, non farò lezione per protesta contro un sistema che sottovaluta il mio lavoro e non mi retribuisce adeguatamente”. Palesemente, quest’uomo sta facendo uso della propria libertà, certo in una forma estrema, altamente dimostrativa, forse sanzionabile, ma si sta assumendo l’onere di una certa posizione al cospetto delle istituzioni di cui è parte e che rappresenta.
Comprenderete che sarebbe ben diverso se costui, di soppiatto, entrando in aula, prendesse un ragazzino e gli assestasse un cazzotto in faccia, per il semplice motivo che la montatura dei suoi occhiali gli risulta sgradevole sul piano estetico. Più che di libertà, in tal caso, si dovrebbe parlare di prevaricazione, violenza gratuita. A ogni modo, poco ma sicuro, dopo un fatto simile, non potrebbe lamentarsi se venisse denunciato e allontanato dal ruolo che ricopre.
Fatte le dovute proporzioni e accomodamenti metaforici, un discorso simile vale anche per i social. Posti in mano a persone prive di equilibrio, misura e sincera volontà comunicativa, questi possono mutare in armi virtuali dalle ricadute reali devastanti. Il caso della Lucarelli e tanti fatti minori a cui si assiste quotidianamente sulle varie piattaforme ne sono la prova.
Nel 90 percento dei casi, purtroppo, non ci si trova al cospetto di discussioni, magari anche accese, ma ad attacchi violenti in piena regola, peraltro del tutto ingiustificati, o derivanti da motivazioni deboli, come vaghe antipatie. Volgarmente, la gente viene sulla tua pagina, o su una qualsiasi, da quella della signora Pedretti a una di un grande quotidiano, fa screenshot ad arte, per il puro gusto di rompere i coglioni, di fare male, di demolire psicologicamente qualcuno. Tutto ciò, è il caso di dirlo, non è normale. Esattamente come non lo è che uno vada a scuola sapendo già che un gruppo di bulletti lo prenderà in giro all’ingresso, a ricreazione, come all’uscita. Dirsi che così va il mondo è cedere al ricatto del male e della sua consuetudine.
La società, che è l’antitesi delle barbarie e dello stato di natura, ha la necessità di tenere a bada le manifestazioni più violente e scellerate dell’essere umano, con ogni mezzo. Per questo, chi trasgredisce deve sapere di andare incontro a punizione. I social non possono pertanto restare la giungla che sono al momento.
Bisogna regolamentare. Le persone devono essere poste nella condizione in cui, senza alcuna censura, le loro affermazioni, in tali spazi come in pubblico, possono risultare soggette a gravi ripercussioni a livello penale, in caso di eccessi. I profili devono essere registrati, in modo che, anche nel caso in cui uno si connettesse a una qualsiasi rete pubblica o privata, possa essere immediatamente rintracciato dalle autorità. L’hackeraggio, come la falsificazione dei profili altrui, deve divenire reato.
Insomma, sono tante le cose da fare per rendere il web uno spazio sicuro in cui chi sbaglia paga. Gli utenti devono smetterla di dare della satanista a una ragazzina come la sorella della Cecchettin, o sfogare le proprie frustrazioni esistenziali entrando sulla pagina di una pizzaiola che, per quanto abbia commesso un errore, era un essere umano e non meritava di vedersi augurare la morte, il cancro e il resto per una cazzata fatta con leggerezza.
L’alternativa a tutto ciò è il dominio di personaggi come Selvaggia Lucarelli e tanti altri piccoli capi popolo – molto peggiori di lei, a dire il vero – che, cercando di costruirsi un pubblico, creano intorno a sé delle situazioni tribali di assatanati, i quali si scagliano in massa contro un soggetto solo e debole per annientarlo. A un tale stadio di sviluppo delle piattaforme, tutto ciò non è più tollerabile e meno che mai quando non si ha a che fare con politici o personaggi pubblici di grande rilievo. I social sono parte della realtà e ad essa vanno ricondotti, con le buone o con le cattive, esattamente come le persone che li praticano.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81
Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14
Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).