Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IN COMPLOTTO CON SATANA: QUANDO I BATHORY INVENTARONO IL BLACK METAL (di Matteo Fais)

Ci fu un tempo in cui fare musica non era semplice come oggi, un periodo di romantica follia che va dal principio della musica popolare alla capillare diffusione di computer dall’inimmaginabile potenza. A meno di non avere una major alle spalle, era difficile ottenere un’incisione con tutti i crismi, cristallina a livello audio, segnata da suoni tra loro equilibrati e ben distinti.

Incidentalmente, fu proprio allora che nacquero molti di quei fenomeni ora consolidatisi, come per esempio i vari sottogeneri del metal e, in particolare, quelli più estremi e perturbanti, come il black. Generati da ragazzini a cui quasi nessuno dava credito, i primi dischi del filone furono spesso registrati con pochissimi mezzi, addirittura autoprodotti.

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Ma prima che i Mayhem, i Darkthrone, e altri definissero inequivocabilmente il fenomeno – nella fattispecie quello del True Norwegian Black Metal –, ci fu un’epoca di transizione, nota come proto o first wave of black metal, in cui le cose non erano ben chiare. Dal metal degli esordi, quello per esempio degli Iron Maiden, si sviluppò nei giovani ascoltatori il desiderio di qualcosa di molto più estremo e violento. La band britannica dei Venom fu l’anello di congiunzione, quella del primo passo, la quale, peraltro, inventò l’etichetta black metal, ma la situazione si spostò quasi subito più a nord, precisamente nella algida Svezia, a Stoccolma, dove tale Thomas Forsberg, detto Quorthon, dette vita a un progetto che cambiò per sempre il corso del mondo della musica più aggressiva che sia mai stata suonata.

Tutto ciò è raccontato da Fabio Rossi, in Bathory. La band che cambiò l’heavy metal (Officina di Hank), in uno dei pochissimi libri – l’unico in Italia – sulla band più oscura, nel senso che ha fatto circolare meno informazioni possibili sul proprio conto.

Ebbene sì, pur avendo dato vita a due generi, il black e il viking metal, pochissime sono le notizie relative al gruppo e al suo leader, un bellissimo ragazzo dalla lunga chioma bionda, l’aria mascolina e il vestiario da rockstar tipica del periodo, come i pantaloni in pelle, la cintura fatta di proiettili e la canottiera – tutto rigorosamente dai toni cupi. A guardarlo parlare nelle interviste, se ne ricava l’impressione di una persona per bene, competente, consapevole, molto misurata.

Eppure, quando formò i Bathory (scegliendo il nome dopo la visita a un museo dell’orrore e aver appreso della conturbante e perversa figura della contessa Elisabetta Bathory, che era solita fare il bagno nel sangue di vergine), Quorthon non aveva probabilmente la minima idea di essere sul punto di andare a segnare un capitolo fondamentale della musica, fino ai suoi efferati sviluppi in Norvegia tra chiese bruciate e omicidi. Da quel momento saranno urla, un cantato sporco, una velocità sonora che crea caos e distorsione.

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Il primo omonimo album segnò la svolta e, come sarà poi per i folli e invasati Mayhem, la strumentazione risultava scarsa, la qualità della registrazione obbrobriosa. A fare la differenza fu l’incoscienza di quel ragazzo che odiava il cristianesimo per aver convertito a viva forza la gente della sua terra e che, per tanto, o meglio per pura protesta adolescenziale, scelse di squarciarsi la gola urlando di satanismo e violenza, orrore e morti resuscitati. A ogni modo, per quanto il suo lavoro venga fatto passare come l’inizio ideale del black e l’ispirazione massima, egli dichiarò: “Sono contento di essere un’influenza per qualcuno, ma continuo a non capire come!”. Probabilmente, non mentiva. E, in effetti, non è strano che l’istinto faccia più della ragione o della volontà.

Dal quel momento, la demoniaca mente di Quorthon, prima della sua prematura morte a soli 38 anni, dette vita a una serie di album che tracciarono il corso di una ferocia musicale mai vista prima in un negozio di dischi. Impossibile, se appassionati del genere, non ascoltare la trilogia black, da Bathory a Under the Sign of the Black Mark, passando per The Return of Darkness and Evil, a cui poi seguiranno gli album di viking, che certo incontreranno il gusto degli amanti del fantasy, in particolare di chi ammira lo scrittore C. Dean Andersson con cui il cantante fu in contatto.

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L’influenza dei Bathory è stata universalmente riconosciuta fino ad oggi. Anche le tematiche da loro trasposte in musica hanno segnato un’epoca e un’infinità di gruppi. Già il loro nome, precedentemente comparso in una canzone dei Venom, Countess Bathory, dette corso a una sorta di ossessione comune per la famosa assassina ungherese, fino a ispirare anche i Cradle of Filth con il concept album Cruelty and the Beast.

Certo, ciò che oggi resta incredibile, in mezzo a una produzione metal torrenziale, perfettamente impressa su un file che arriva comodamente a casa a mezzo di Spotify, è ripensare e risentire di un tempo in cui si potevano ancora cambiare le cose, quando un ragazzo praticamente sconosciuto riuscì a imprimere una svolta nella musica e lasciare la propria nera traccia sui decenni a venire.

Matteo Fais

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Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

Un commento su “IN COMPLOTTO CON SATANA: QUANDO I BATHORY INVENTARONO IL BLACK METAL (di Matteo Fais)

  1. Comprerò il libro, Bathory sicuramente sono un’ottima band, ma non dimenticare che in quella scena imperversavano dal 1980 i grandi Mercyful Fate, che nel 1983, anno di esordio di Bathory, pubblicavano il capolavoro Melissa.

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