CASHIERLESS – SARÀ DAVVERO COSÌ BELLO UN MONDO DI SUPERMERCATI SENZA CASSE E CASSIERI? (di Matteo Fais)
Negli anni ’70, i Clash cantavano Lost in a Supermarket per rendere quel senso di spaesamento del soggetto in uno spazio vasto e apparentemente pieno di possibilità. Va da sé che qualsiasi persona sana di mente si senta in un certo senso perduta e priva di riferimenti tra scaffali stracarichi, gente dissociata che spinge carrelli, infanti che sognano cioccolatini, un caldo infernale e una situazione che, vista con gli occhi di chi porta nella memoria il ricordo dell’inedia e delle difficoltà ad approvvigionarsi dei nostri antenati, assumerà un aspetto vagamente inquietante.
Lo scrittore francese Michel Houellebecq descrive mirabilmente, con la sua consueta elusività, in una scena memorabile, lo stato d’animo dell’uomo moderno in queste cattedrali del consumo, in particolare nel suo primo romanzo, Estensione del dominio della lotta: “Entrando nel settore di emporio riservato al self-service, ho visto steso a terra un uomo del quale non riuscivo a distinguere il volto […] Svariate persone erano già raccolte intorno a lui. Sono passato accanto al capannello cercando di non soffermarmi troppo, per non manifestare curiosità morbosa […] Ma di fronte alla smisurata scelta di vini offerti alla cupidigia del pubblico ho indugiato un po’ […] mi sono accontentato di una confezione di birra Tuborg […] Non si può dire che sia stata una morte dignitosa, con tutta quella gente che passava, che spingeva il carrello (era l’ora di massima affluenza), in quell’atmosfera da circo che caratterizza tutti i supermercati”.
È facile immaginare come si sentirà tra qualche anno l’autore quando prenderanno completamente piede i cosiddetti centri cashierless, cioè senza casse e cassieri, che il “Corriere” ci invita a considerare sotto una luce particolarmente positiva (https://www.corriere.it/economia/consumi/24_gennaio_06/supermercati-senza-casse-italia-aperture-serie-piani-esselunga-pam-conad-d640e454-abc3-11ee-a103-112813160fba.shtml).
Insomma l’umano e l’umanità stanno sparendo nel disinteresse generale, nello scorrere dei giorni che abitua all’acquiescenza, per non fare 10 minuti di fila, per il piacere di stare chiusi in sé stessi anche in un luogo pubblico, entrare e non scambiare una sola parola con un altro essere vivente. Il piano è abbastanza chiaro e forse piace più di quanto sia lecito ammettere.
Abbiamo ampie discussioni sui social, addirittura odiamo gente che abita a migliaia di chilometri, gli giuriamo vendetta, botte da orbi, testate e pugnalate. Poi, contattiamo su Tinder una che risponde al nome di Pupa, dopo aver letto la sua presentazione, aver visto le sue foto in spiaggia ed essere stati ragguagliati sulla sua altezza, misure e via dicendo, sperando che finalmente qualcuna ce lo prenda in bocca. I preservativi li compreremo, ovviamente, al market totalmente automatizzato, senza che nessuna cassiera ci guardi di traverso.
Questo è il futuro che ci attende: scambi ridotti al minimo, una solitudine luccicante e dorata, un’app per risolvere ogni problema. Il mondo della pandemia, in cui non si può toccare niente e tutto è igienizzato, diventerà la norma. Tutto sarà immenso come il paesaggio desolato di una distopia, con una mesta musichetta in sottofondo, e lo attraverseremo dimentichi di quella strana possibilità rappresentata dalla parola. A casa dialogheremo con Alexa che eseguirà i nostri ordini, quelle oscure richieste di un animo che ancora non si è rassegnato a una mistica quiete: “Alexa, metti un disco jazz e raccontami di te”. Un po’ di smart working e il gioco sarà fatto…
Forse sarebbe il caso di fermare tutto, finché siamo ancora in tempo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
Scommetto che i primi a lamentarsi di questo futuro distopico sono quelli che sui social diffondono odio e bullismo in nome della “tradizione” e la salvaguardia dell’umanità. In rete daranno anche solo il peggio ma è pur sempre il peggio di loro stessi, è un deterrente anche per la realtà. Ovvio che la gente preferisca isolarsi sempre di più, non la biasimo.
Articolo magnifico, in cui mi sono riconosciuto perché parla di situazioni comuni, quotidiane. Temo che sia ormai tardi per correggere il tiro: da anni e anni siamo immersi in un humus di individualismo, oicofobia, demofobia, mano a mano che si sono consolidate (illusoriamente) le nostre – in realtà fragili, precarie – certezze sul non aver bisogno della solidarietà reciproca per garantirci la base della sussistenza.
Il supermercato ha un garage sotterraneo e un paio di capienti ascensori che portano all’ambiente commerciale: ne prenoto uno e, mentre ne attendo l’arrivo, con la coda dell’occhio posso notare, dietro di me, che gli altri clienti che sopraggiungono alla spicciolata alle mie spalle – pur vedendo dalla pulsantiera che il mio ascensore è già in arrivo – prenotano l’altro, nella speranza di NON dover CONDIVIDERE uno spazio con uno sconosciuto (scena che ormai avviene anche nei condomìni, dove ci si conosce).
Non parliamo poi delle cassiere (quelle ancora in carne e ossa): l’una più ingrugnita dell’altra, che hanno coi clienti la stessa cordialità di un agonizzante appeso alla croce; dunque anch’io mi sono convertito alle casse self.
Parlo da ex cassiera, spesso, anzi spessissimo, le lavoratrici sono ingrugnite perché il loro ambiente lavorativo è una schifezza (compreso tutto il pacchetto = contratto, colleghi, titolare sfruttatore, clienti che credono per davvero di avere sempre ragione). Mi spiace ma la prima fonte di malessere nella vita di una persona è il rapporto con gli altri.
Giusto. La medicina però non è isolarsi 24/24. 7/7.
A me del contatto “umano” già non me ne frega niente da tempo. A me da solo fastidio che gradualmente si stia accantonando il contante. I lettori mi diano pure del “evasore” se li fa sentire bene, io sono ancora libero di pagare come voglio. Se il vero problema fosse quello di favorire l’isolamento sociale più distopico basterebbe mettere più casse self service invece di usare solo le app
Non sono d‘accordo sulla conclusione. Se a qualcuno non piace, può sempre cambiare aria. Se è vero che il mondo si sta globalizzando, è anche vero che esistono ed esisteranno sempre „sacche/situazioni“ alla vecchia maniera. Tipo: vivo in una metropoli del centro Europa, con supermercati con app, casse automatiche, eppure non mancano i mercati rionali e il mercato dei contadini. Dubito spariranno.
Negli States l’esperienza si è rilevata ottima per il pubblico (saccheggiavano il market senza neppure il disturbo del vigilante), meno per le aziende.
Esperimento sospeso, dunque.
Basta così poco…