3 GENNAIO 1954 – SETTANTA TRAGICI ANNI DI RAI E DI ITALIANITÀ(di Matteo Fais)
“L’uomo circuito dai mass media è in fondo, fra tutti i suoi simili, il più rispettato: non gli si chiede mai di diventare che ciò che egli è già. In altre parole gli vengono provocati desideri studiati sulla falsariga delle sue tendenze” (Umberto Eco, Diario Minimo, Bompiani).
Una leggenda metropolitana racconta di un prete che, al cospetto delle pie donne, tutte maritate vergini e fedeli al credo di Nostro Signore, abbia tuonato “La televisione ha portato il demonio nelle case degli Italiani”. Certo, la frase è a effetto e profondamente radicata in un’antropologia, quella del Belpaese, che ha piazzato un demone in ogni sentiero di campagna, sempre intento a tentare qualsiasi contadinella o brav’uomo devoto solo alla fatica quotidiana per il pane – sì, Croce aveva ragione, nel bene o nel male, non possiamo non dirci cristiani.
Tendenzialmente, tale spirito di rifiuto e demonizzazione ha portato più a farsi governare dai fenomeni che a dirigerli – o, quantomeno, a lasciarne le redini nelle mani di personaggi poco raccomandabili e senza scrupoli. Sovente, purtroppo, la critica sociale si riduce a lamentazione fine a sé stessa, più che ad azione palingenetica.
Sta di fatto che settant’anni fa, precisamente il 3 gennaio del 1954, in Italia, la RAI cominciò le sue trasmissioni su vasta scala. Sia chiaro, non che tutti avessero fin da subito il mezzo in casa, ma tra osterie, ritrovi da dopolavoro, oratori, bar e vicini di casa, la fruizione si fece sempre più larga. Manco a dirlo, a scatenare l’interesse del grande pubblico furono in massima parte programmi come Lascia o raddoppia? di Mike Bongiorno, in ciò dimostrando che le masse hanno sempre prediletto e sempre opteranno per il peggio.
Naturalmente, questo nuovo strumento attirò l’interesse degli intellettuali – grazie al cielo, visto che in teoria questi dovrebbero occuparsi di ciò che accade nel mondo. Come dimenticare in tal senso il saggio di Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno, in cui il noto semiologo fotografa il successo del presentatore più amato dagli Italiani come generato dal suo incarnare al meglio la mediocrità di questi, in luogo di proporre loro un modello più alto verso cui tendere, oltre che nel non suscitare quel senso di sudditanza psicologica che di solito si accompagna all’uomo di intelletto.
In verità quello che ieri appariva agli spiriti più ingenui come una rivelazione – la televisione lancia messaggi manipolativi, induce desideri prima sconosciuti, crea un’iperrealtà che finisce per essere più vera della concretezza –, oggi si rivela essere un’ovvietà. Probabilmente, avrebbe potuto esserlo fin da allora: non è necessario essere Marx in persona per intendere un processo che vale per i giornali e l’editoria in generale, come per qualsiasi strumento di informazione o diffusione delle idee. Soprattutto, non vi è niente di nuovo sotto il sole: se esiste una sola possibilità per imporre la propria voce, si può star certi che il Potere cercherà di accaparrarsela.
Ma, in definitiva, è poi vero che la televisione ha rovinato un magnifico popolo? Come al solito, la verità non è così netta. Per lusingare il peggio in qualcuno, l’aspetto negativo deve già essere predominante nel soggetto in questione. Una droga si vende a chi aspira a fuggire dalla realtà, non a chi la vuole abitare con i piedi ben piantati a terra. Volgarmente, è difficile immaginare una trasmissione dagli alti ascolti in cui Umberto Eco, fermo sul suo trono, redarguisce il popolo per il suo essere somaro e analfabeta. Non meglio sarebbe andata se lo stesso studioso avesse parlato di Filosofia. Del resto, mutatis mutandis, non è che programmi come Zettel – Filosofia in movimento di Maurizio Ferraris, oggi come oggi, vadano per la maggiore. Andate a controllare, poi, se proprio ci tenete, la differenza di visualizzazioni su YouTube per un suo intervento tenuto presso una qualsiasi università e un qualsivoglia video sciocco di quelli in tendenza.
Alla fin fine, dobbiamo farci i conti, la gente preferirà sempre il reality del Grande Fratello a una propedeutica alle grandi domande della Storia delle Idee. Poi, certo, le facili assoluzioni fanno comodo a tutti. Eppure, anche di fronte al moltiplicarsi delle voci critiche, o semplicemente alternative, i più scelgono ancora ciò che è di più vasto consumo e mainstream. A meno di non crearsi un pubblico di nicchia, è difficile che un articolo sulla poesia, per dire, di un Gabriele Galloni, registri gli stessi ingressi di uno pro o contro la Ferragni – persino da parte di coloro che denunciano ogni tre per due il degrado culturale imperante.
Insomma la RAI è sicuramente quel che è, come tutta la televisione generalista, ma si tratta in fondo dello specchio impietoso di ciò che ci circonda e che tale resterebbe, con o senza la televisone.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).