Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

“DOMICILIO SCONOSCIUTO” – VIAGGIO NEL MONDO DI LUCIANO FUNETTA (di Marco Pianti)                                                                         

Sono stato forse tra i primi a sentir parlare di Dalle Rovine, quando era ancora un feto, sopravvissuto ai colpi di mannaia delle revisioni successive a cui, inevitabilmente, si sottopone un manoscritto, prima di potersene finalmente liberare e tornare a mangiare male e dormire peggio, molto prima di trovare il coraggio di scrivere ancora e avere la delirante pretesa di dare una forma a qualcosa.

Era il 2014, un’estate piena di luce e scarna di prospettive, quando Simone me ne ha parlato davanti a un bicchiere amaro, forse andato a male, che bevevamo per distrarci dal frastuono dei vacanzieri, riuniti in sciami, intorno a noi. Appena è uscito me ne sono procurato una copia, e l’ho letto nell’intervallo di tempo in cui avrei potuto pianificare ed eseguire una piccola strage, un pomeriggio.

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Il libro, che fatico a definire un romanzo, grazie a dio (o chiunque preghiate o bestemmiate, nei momenti di disperazione) filava liscio in una direzione misteriosa, partendo da un luogo altrettanto ignoto, presentando una collezione di mostri, professionisti dell’industria pornografica, quindi spogliati di ogni erotismo, e in ultima analisi della propria forma umana, un’umanità esasperata, perciò reale.

Già dal suo esordio, Luciano Funetta ha messo in chiaro la sua appartenenza ad una famiglia letteraria in alcun modo legata alla cultura italiana, nella quale, comunque, per ragioni ovvie, ha dovuto crearsi un angolo buio di autonomia in cui dondolare in solitudine per quasi dieci anni.

Come la virgola che rifiuta di essere cancellata dal suo autore, nel discorso sulla mistificazione di Kierkegaard, Dalle Rovine è un breve manifesto di inappartenenza alla letteratura italiana che rifiuta di passare inosservata e continua a esistere come esempio di un’altra letteratura, diversa dal romanzetto familiare di indagine psicologica, ormai vecchio e marcescente, ma sempre in voga nel nostro Paese. Le sue origini vanno ricercate altrove, e nel caso qualcuno avesse ancora qualche dubbio, il suo ultimo libro Domicilio Sconosciuto (UTET, 2023) serve a mettere un po’ di ordine intorno alla sua identità.

La narrazione procede come se i personaggi del libro girassero in tondo, tra nuove rovine, quelle di un museo circolare che si restringe e li schiaccerà, l’istituto. Qualcuno potrebbe avere voglia di stabilire, in maniera oziosa, se si tratti di un saggio o di un romanzo. A me non interessa, non sono un impiegato inebriato dalla classificazione; mi sembra, invece, più proficuo, a partire dalla forma dell’opera, cercare di scoprire le intenzioni dell’autore, la forma del suo mondo, ovvero delle sue particolari fissazioni. La struttura finale, in fondo, potrebbe essere solo un incidente. Un ammasso di lamiere accartocciate dall’urto di più esigenze, più o meno manifeste.

Una di queste, mi sembra, è quella di sbarazzarsi, una volta per tutte, di una folla di autori che, in questi otto anni, devono aver disturbato le notti dello scrittore. Cosa si fa in questi casi? Si procede al parricidio, bisogna sterminare la propria famiglia, per metterla a tacere e procedere verso il silenzio, in cui si troveranno nuove strade o nuove voragini in cui precipitare. “Questa è la mia famiglia”, sembra dire Funetta “Guardateli bene. Le mie zie hanno i denti marci, mio padre ha un tumore al fegato, è un malato terminale, il padre di suo padre era un efebo, un impotente. Guardateli bene, dicevo, perché sto per mandarli nell’inferno in cui li raggiungerò”.

Ciò che contraddistingue il panorama letterario italiano, un panorama angusto fatto di conveticole, collettivi di puttane inesperte, è la totale assenza di personalità anteriori con le quali misurarsi. Non abbiamo padri da uccidere. Cosa fare, a questo punto? Il desiderio, l’esigenza, la malattia dello scrittore lo conducono fuori dal suo domicilio, in cerca di luoghi in cui risolvere il proprio Edipo. Forse questo può spiegare il titolo del lavoro.

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La forma dell’opera è debitrice, forse inconsapevolmente, a un famoso discorso di Roberto Bolaño, Derivas de la pesada, in cui l’autore cileno mette ordine nella storia recente della letteratura sudamericana, con analogie seducenti tra alcuni autori e scatole impolverate in cui sarebbe custodito l’inferno. Si parte dalla genesi, dal sacerdote accecato della cultura letteraria latina: Borges, il magnifico ipocrita, ambizioso fino all’eccesso, o al patetismo, ma raffinato e celeste, inarrivabile padre da abbattere con tutti gli onori.

Troverete, nel libro di Funetta, un bestiario di scrittori e scrittrici dai sorrisetti infami e mandibole slogate. Alcuni oscillano, altri precipitano verticalmente. Il tutto scritto nello stile del romanziere, debitore ad ognuno dei componenti della sua famiglia letteraria.

Ogni autore conduce a un altro autore o al suo fantasma, Onetti a Faulkner, Borges a Stevenson o Chesterton, Roberto Arlt a Dostoevskij, Piglia a Borges, Bolaño a una poetessa uruguayana ancora rannicchiata nel bagno di un edificio assediato, Osvaldo Lamborghini a un suo personale delirio sadomasochista, Juan Rulfo a un mucchio di ossa in perenne decomposizione, Cortázar alle porte di un cielo popolato da contadini rivoluzionari con l’AIDS e mani folli che si incontrano sulle sbarre del metrò. E nessuno dimentichi gli autori di due tra i migliori romanzi sudamericani: Malcolm Lowry e Gombrowicz, uno britannico e l’altro polacco, due esuli ontologici.

Dopo la tentazione del silenzio, il suicidio artistico, confessato dallo scrittore, il lettore deve prepararsi a qualcosa di nuovo nell’opera di Funetta. Un autore che ci pone di fronte a un quesito antropologico, se vogliamo, sulla figura del lettore moderno. Il lettore attraverso il quale i libri passano da una mano all’altra, come organismi indipendenti, dotati di una coscienza capace di escogitare mille espedienti contro l’estinzione.

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Due ragazzi, una sera, torneranno a casa con un libro che li terrà svegli tutta la notte, un libro che farà un lungo viaggio e finirà tra le mani del sottoscritto, e gli insegnerà a stare sveglio con gli occhi sbarrati, nudo in un letto che non è suo; non solo durante la notte, ma soprattutto durante il giorno, in un mondo abitato da persone che, come scrive Cortázar “Dopo aver fatto tutto quello che fanno, si alzano, si lavano, si mettono il talco, si profumano, si pettinano, si vestono, e così progressivamente tornano a essere ciò che non sono”.

In Domicilio Sconosciuto, per giocare con le parole, Luciano Funetta è un Esule in Guerra che si adopera a svelare il significato esoterico, inarrivabile, come tutte le verità, dietro al mestiere di scrivere, ma soprattutto dietro alla necessità di leggere, ovvero di scavarsi una fossa in cui giacere stremati, come in alcune filosofie orientali si prescrive lo sfinimento per pervenire alla pace dei sensi, e sfuggire, sublimandolo, al dolore (e alla noia) di esistere.

Marco Pianti

Per contattare l’autore: marco_pianti@yahoo.com

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