FERNANDA ROMAGNOLI E LA BELLISSIMA POESIA DEL QUOTIDIANO (di Matteo Fais)
Intrigante vicenda quella della lirica al femminile, assolutamente interessantissima a prescindere da maniacali posizioni femministe di demonizzazione del maschile, oggi tanto in voga – in ultimo le donne che valgono sanno sempre farsi notare, senza quote rosa e altre idiozie di spartizione equa degli spazi. Tante sono state scoperte e riscoperte, tante emergeranno in futuro anche dal passato.
Infatti, in questo tempo in cui finalmente si gioca alla pari, possiamo vedere tutto un fiorire di pubblicazioni varie di grande qualità sull’argomento poetico declinato al femminile. Seppur con imperdonabile ritardo, è il caso dunque di segnalare questo superlativo testo, del 2022, di Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno (a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella – Nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat), pubblicato da Interno Poesia.
Già a un livello epidermico, impossibile non fare i complimenti all’editore per la qualità dell’opera, dalla cura editoriale alla stampa – i loro volumi hanno sempre un qualcosa che induce alla carezza, come piccoli gattini, il che ben dispone alla lettura, quando si parla di testi di poesia. Peccato si tratti solo di una selezione di testi e non di una edizione critica completa, per quanto questa restituisca al lettore alieno all’opera della Romagnoli, in più di 300 pagine, un quadro vasto e ampiamente documentato sul suo lavoro.
Davvero il piccolo tomo è praticamente senza difetti, persino negli apparati critici, per quanto l’introduzione di Paolo Lagazzi risulti forse troppo generosa verso la poetessa. Come dice lo studioso stesso “Per parte mia sono pronto a sbilanciarmi: Fernanda Romagnoli è la più grande poetessa italiana del Novecento”.
Ecco, certo ci vuole un discreto coraggio a ballare in libertà su una corda tesa tra due palazzi. L’autrice in questione non è la classica poetessa che spesso colpisce l’immaginario dei lettori appassionati. Non si tratta di una eccentrica come certe altre che lui cita, allargando il suo orizzonte oltre il Belpaese, dalla Dickinson alla Plath; né ha la semplicità un po’ stucchevole, da supermercato della poesia, di una Wislawa Szymborska. Ma non è neppure, rimanendo sul suolo nazionale, un concentrato tragico alla Antonia Pozzi.
La cosa interessante della Romagnoli è che tutto sommato si tratta di una cara e brava signora che riesce a mettere su carta le sue inquietudini casalinghe, da maestra elementare e massaia timorata di Dio, e lo fa con discreti risultati. Naturalmente, dunque, non bisogna aspettarsi versi di rottura, come quelli di un’americana quale La Loca che canta di amore libero, Vietnam e passione per gli amanti di colore. L’antropologia e il contesto culturale sono completamente differenti e inassimilabili.
Oggettivamente, le manca anche quell’afflato mistico, a livello lirico, che Lagazzi le attribuisce (“Senza requie, senza requie, Signore,/ il Tuo giungere a me. Senza fine,/ senza fine, Signore,/ il mio perdere Te./ Nel Tuo flusso – sommersa oltre la fronte,/ nel riflusso – scarnita come scoglio./ Senza pietà, senza pietà, Signore,/ il Tuo immenso lasciarmi. Senza fine,/ senza fine il mio grido: Ti voglio!”), o quantomeno dà risultati altalenanti a seconda dei casi, per quanto a volte davvero notevoli (“Quando il mio Dio m’assedia/ da un’aurora qualunque,/ al mio povero corpo imponendo/ il suo innesto divino/ la folle tentazione dell’eterno”).
La raccolta contiene di molto meglio e trova una sua coerenza in sentimenti più estemporanei, impressioni, slanci improvvisi (“Che non so amarti, dici./ Ma chiedilo al tremore delle mani/ quando si fanno nido alla tua nuca,/ chiedilo alle radici delle vene/ quando m’ami, al mio cuore che boccheggia/ spingendo la sua punta palpitante/ fra i cerchi delle costole di pietra./ Chiedilo ai giorni, quando ne raccolgo/ in ginocchio i frantumi,/ se anch’essi non inneggiano al tuo nome!”).
Non vi è, del resto, nulla di strano nel fatto che un poeta o poetessa non abbia una visione stringente e coesa come un discorso da portare avanti per la vita, ma si abbandoni a un sentire mutevole che passa dall’amore figliare (“Mia madre celebrava la mattina/ con un caffè solitario./ […] Mia madre la mattina/ stava sola di là, come Dio/ sta sulla terra e sul mare./ Prendeva il giorno nelle sue mani rosse./ Ribattezzava oggetto per oggetto”) al rapporto tra lo spirito e la carne (“E mentre dormi, e dura l’armistizio/ fra l’anima ed il corpo suo sudario,/ vorrei scenderti in petto, mescolarmi/ allo stormo dei palpiti al comizio/ dei sentimenti”), fino ad arrivare alla questione del coniugale (“E affacciati guardando fluttuare/ questa frangia di sera sui palazzi,/ fianco a fianco per vizio coniugale:/ che cosa, strenuamente,/ resiste in noi – che cosa, più reale/ di quello che tentammo/ o che insieme sbagliammo dall’inizio”).
La forza del lavoro della Romagnoli sta proprio nell’essere vicina a un sentire molto comune che non distingue tra poesia e vita quotidiana, in cui la lirica non è un regno a parte ma sta tra le tazze della colazione del mattino, nello spazio immediatamente prospiciente la propria casa, nel letto che si condivide ogni notte, senza grandi eccessi, con il proprio marito. Insomma, non vi è morbosità, autodistruzione, esaltazione del torbido e malsano, né esoterico ermetismo da iniziati. Per fare poesia, basta e avanza.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).