SÌ ALL’EUTANASIA, MA SOLO SE LA MEDICINA FOSSE PRATICATA A DOVERE (di Matteo Fais)
Una donna triestina affetta da sclerosi, ieri, stando a quanto riportato dai quotidiani, avrebbe deciso per il suicidio assistito, aiutata dal Servizio Sanitario Nazionale. In teoria, a quanto pare, è possibile. Il farmaco, però, il singolo deve decidere di autosomministrarselo. Non può essere un medico a farlo, altrimenti si configura un reato.
Inutile precisare che qualsivoglia giudizio sulla sua scelta è fuori discussione. Non ci vuole un teologo per capire che solo chi vive un certo dolore può parlare e a noi non resta che di immedesimarci, empatizzare, sperando di non trovarci mai al cospetto di quel terrificante bivio.
Cionondimeno, è possibile e doveroso meditare, nel 2023, sulla tanto discussa questione dell’eutanasia. Sarebbe altresì bello – si fa per dire – potersi limitare al piano morale o religioso.
Il problema, come sa qualsiasi Italiano che viva in questo Paese, sta nella scarsa fiducia che, a ragion veduta, in molti nutriamo nei confronti delle Istituzioni, non ultimo quelle sanitarie. Con il covid, tutto il peggio del sistema è venuto a galla, radicalizzando delle deprecabili tendenze in nuce da anni.
Tutto va sempre più privatizzandosi, i medici di base sono ormai praticamente irraggiungibili, la prevenzione tanto decantata inesistente, i pronto soccorso inservibili e ridotti a camere in cui le attese divengono tortura. Peraltro, non è dato sapere se ciò sia dovuto a una reale mancanza di personale – quindi se il problema sia causato dalla politica, con le mancate assunzioni -, o se la classe medica stia conducendo una battaglia sotterranea e, in tal caso, profondamente squallida, per portare agli estremi i processi di privatizzazione e aumentare i propri guadagni. Non avendo un quadro chiaro, meglio sospendere il giudizio, anche se il dubbio resta.
L’incognita che si presenta, dunque, parlando di eutanasia, è se essa, entro una contingenza segnata da tante mancanze, non diventerebbe, una volta sdoganata, un’arma a doppio taglio. Se è giusto dare libertà di scelta ai sofferenti, siamo certi che medici privi di coscienza non la utilizzerebbero per sacrificare tutti i sacrificabili possibili, cioè vecchi e degenti irrecuperabili? Memori della pandemia, è difficile ben sperare.
Purtroppo, si sa bene, ormai, che la scienza medica non è, se non sulla carta, finalizzata alla cura e al contenimento della sofferenza. Troppi sono stati gli scandali, i punti oscuri. Tanto più che essa non è un ambito a parte dell’Essere, ma intimamente legata a politica ed economia. Considerato l’andazzo generale e lo sporco che si cela dietro chi comanda, non è difficile figurarsi che il regime sanitario possa divenire, se ammesse certe pratiche, mezzo per fini che, solo a nominarli, mettono i brividi. Non è più tempo per abbandonarsi alla fiducia. Il medico è nudo, così come ciò che sta dietro di lui.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
Infatti il diritto a morire deve essere un diritto negativo, vale a dire il diritto di potersi procurare quanto serve per potersi ammazzare senza interferenze da parte della società in generale. Ciò significa che se io mi voglio comprare il Nitrito di Sodio da un laboratorio vicino a me, o da qualche venditore online, lo stato non deve rompermi il cazzo.
O meglio, la soluzione sarebbe imporre un periodo d’attesa diciamo di un anno, con tanto di terapia, al fine sia di impedire che al suicida vengano fatte pressioni, sia di scoraggiare suicidi impulsivi, verificando quindi che la volontà di morire sia persistente. Una volta passato quel periodo, lo stato e la società non devono più scassare la minchia, né tantomeno imporre al suicida di vivere.
Inoltre, già ora esistono tecnologie che non richiedono alcuna assistenza medica, anche per persone disabili: https://www.exitinternational.net/sarco/portable/
Ergo, non serve l’aiuto di alcun dottore, basta volerlo fare, invece di arrogarsi il diritto di imporre agli altri quale sia il valore della vita, o se essa sia o meno degna di essere vissuta. Se io giudico la vita una merda perché non ho una ragazza (non è il mio caso, eh, io da single ci sto abbastanza bene), nessuno ha il diritto di dirmi che no, la vita è bella, e in base a cosa devo ritenerla bella o meno.
Non è difficile in realtà:
la tua testa è in grado di ragionare?
Allora puoi decidere ciò vuoi.
Non hai più l’uso della ragione e nessuno te la può ridare?
Bèh, voi capite, a questo punto è solo questione di “carità” togliere un corpo da sofferenze senza futuro. Qui si tratta di “normare” un’ineluttabiltà, quindi a seguire:
Parere medico
Parere dei congiunti.
Tutto il resto in questo caso è irrilevante.
Condivido tutto.
Grazie, Matteo.