IL RAPPORTO DEL CENSIS E L’ITALIA SENZA FIDUCIA (di Matteo Fais)
Ogni volta, sembra che la gente caschi dal pero. Non ci vuole un sociologo per guardarsi intorno, per ascoltare le opinioni al bar, tra gli amici al sabato sera, per scambiare quattro chiacchiere con lo spazzino e il cameriere. Pertanto il rapporto del Censis su un’Italia che nutre profondi timori per il futuro, in cui l’83 percento ritiene stupido mettere al centro della propria vita il lavoro, nessuno fa più figli e nel 2040 saranno solo una coppia su quattro, con la gente che ha paura degli immigrati oltre che di un eventuale conflitto mondiale, fa saltare sulla sedia solo chi, quotidianamente, vive su Marte, invece che tra i comuni mortali, per le vie del centro.
In sostanza, si dice, negli Italiani è venuta meno la fiducia. Non uno che sottolinei come, semplicemente, una massiccia istruzione di massa – per quanto dagli scarsi risultati sul piano formale – abbia aiutato tanti ad aprire gli occhi, a prendere un poco di consapevolezza. Poi, certo, ci sono quelli che gridano all’estinzione prossima ventura, alla fine dei tempi, alla maligna secolarizzazione. Ma chi si pone la più angosciante delle domande, quella che mette in gioco il nostro essere più dal profondo: ma che senso ha vivere?
Contrariamente alla narrazione dei conservatori, mutuata dal geniale Guglielmo Giannini, secondo cui “si stava meglio quando si stava peggio”, la vita dei nostri nonni e genitori spesso era una merda totale. L’operaio FIAT di Mirafiori, con 4-5 figli, non riusciva minimamente a far campare la famiglia, come si racconta, e, una volta finito il turno, doveva recarsi dall’amico che gestiva un’officina meccanica o un distributore per farsi due miseri soldini in più.
Altro che dire “allora, le cose…”. Si stava un po’ meglio perché i nostri genitori si ammazzavano affinché noi potessimo comprarci un libro, un disco e un pacchetto di sigarette. Tutta la piccola borghesia andava avanti in tal modo, di solito con un lavoro fisso, poco retribuito ma sicuro, e una serie di occupazioni secondarie, come l’insegnante con le ripetizioni e così, grazie a un po’ di nero – sacrosanto, sia chiaro –, era più facile mettere insieme il pranzo con la cena. I lussi veri – fosse pure il gelato ogni giorno, o sfizi simili – erano in pochi a poterseli permettere.
È abbastanza chiaro che i figli di costoro abbiano mangiato la foglia e non nutrano la benché minima voglia di sacrificare la propria esistenza per poi ritrovarsi, appena andati in pensione, con un bel cancro e tanti saluti. Non sembra strano che una persona con un minimo di senso critico si domandi il senso di esistere così, insomma per il puro gusto di vivere, di mandare avanti una specie che non va da nessuna parte.
Giustamente chi non abbia fatto del sacrificio la propria religione di vita, senza neppure discutere questo assunto sociale da sempre raccontato ai miserabili, ha voglia di godere, o se non altro di stare bene il più possibile, di contemplare il sole in spiaggia e viversi qualche avvincente storia d’amore – non di sfornare figli perché gli anticoncezionali sono un peccato.
Che, poi, fare figli per cosa? Perché diventino ingranaggi di un sistema folle, andando a formare nuova manodopera a basso costo, e consumarsi dalle 7 di mattina alle 7 di sera? No, grazie! Del resto, in quel passato tanto idealizzato dai fessacchiotti con un culto da antiquari per i bei tempi, si scodellavano pargoli perché serviva gente da mandare in campagna a farsi un culo così – i vecchi dicevano “i figli sono una ricchezza”, sì, ma per coltivare il campo del padre.
In sostanza il Censis fotografa un’Italia che, seppur culturalmente barbara sotto tanti punti di vista, ha capito la grande lezione del sapere. Non vi è neppure la necessità di scovare qualche nuovo antinatalista proveniente dai più disparati Paesi, visto che qui, in Italia, abbiamo la lezione del Conte di Recanati: “Nasce l’uomo a fatica,/ Ed è rischio di morte il nascimento./ Prova pena e tormento/ Per prima cosa; e in sul principio stesso/ La madre e il genitore/ Il prende a consolar dell’esser nato./ […] Se la vita è sventura,/ Perché da noi si dura?”. Le vie del Signore sono infinite, forse anche quelle della saggezza. Magari la scuola, unita a un certo intuito che una minima misura di benessere porta con sé, ha avuto il suo effetto e qualcuno ha finalmente compreso che non è necessario scegliere di farsi inculare con le proprie mani.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).