KISSINGER, OVVERO COME L’AMERICA SCOMPARÌ DAL MONDO (di Davide Cavaliere)
Il 20 agosto 1938, quando la sua famiglia fuggì dalla Germania hitleriana per evitare ulteriori persecuzioni naziste, Heinz Alfred (futuro Henry) Kissinger aveva quindici anni. La famiglia si fermò brevemente a Londra, prima di arrivare a New York il 5 settembre del medesimo anno.
Kissinger, una volta divenuto la «mente europea» della politica estera americana – si laureò con una tesi intitolata Peace, Legitimacy, and the Equilibrium (A Study of the Statesmanship of Castlereagh and Metternich) –, sposò un approccio rigorosamente «realista», talvolta cinico, corrotto, vuoto e privo di onore, dimentico dell’esperienza di esiliato.
Mosso dalla convinzione, derivantegli dal suo studio del Congresso di Vienna, secondo cui Stati Uniti e Unione Sovietica fossero due «grandi potenze», proprio come, nel XIX secolo, lo erano state la Prussia e la Russia, svuotò la Guerra Fredda di quel contenuto ideologico che aveva precedentemente innervato l’anticomunismo degli apparati statali statunitensi, a cominciare dalla CIA dei fratelli Dulles.
La crisi di fiducia in sé stessi degli Stati Uniti, innescata dalla guerra del Vietnam e dalla contestazione studentesca, condusse, al termine degli anni Sessanta, al logoramento della strategia del containment del totalitarismo sovietico, elaborata un ventennio prima da George Kennan, che si fondava sulla convinzione di una superiorità morale ed economica degli Stati Uniti.
In un’America stretta tra la New Left che, iconoclasticamente, contestava i «valori tradizionali americani» e coloro che chiedevano un impegno più intenso da parte dell’America per liberare il mondo dalla minaccia comunista, Kissinger si presentò come un disincantato «realista», profondo conoscitore dei machiavellici artifici che fanno delle relazioni internazionali un gioco esoterico di raffinate conversazioni e cerebrali approcci strategici.
Si trattava, perlopiù, di una intelligente ed efficace retorica. La sua azione politica non si discostò dagli approcci consolidati della politica estera americana, se non per la lettura fortemente bipolare del sistema-mondo e la critica all’universalismo dei valori, a cui voleva sostituire la logica di potenza e gli imperativi dell’interesse nazionale.
L’ascesa, alla fine degli anni Settanta, del neoconservatorismo, fu certamente una reazione al «kissingerismo», ovvero una difesa dei principi universali che avevano ispirato la politica estera statunitense nel primo ventennio della guerra fredda. La riflessione politica e di Kissinger, tutta concentrata dalle necessità della stabilità interna e dalla ricerca di un equilibrio sulla scena internazionale, determinarono un nuovo slancio idealista, soprattutto in quella «nuova» Destra, di provenienza trotzkista, che vedeva nell’anticomunismo un modo per cementare un nuovo ordine morale in seno a una società americana sconvolta dalle lotte per i diritti civili e dalla «liberazione» sessuale.
I neocons, in stretta collaborazione con la destra cristiana, riabilitarono l’universalismo liberale e rilanciarono la categoria di «totalitarismo» per designare il nemico da fronteggiare. Insomma, da una reazione al «kissingerismo» sorse quella volontà di recuperare i «valori» americani che si manifestò pienamente con l’elezione prima di Ronald Reagan.
Generalmente considerato il più «imperialista» degli americani, soprattutto per via delle sue azioni in Sudamerica, Kissinger fu, in realtà, il gestore di un progressivo ritiro americano dal mondo. Dopo essere stato a lungo odiato dagli antiamericani di professione, per via delle sue posizioni velatamente filorusse circa il conflitto in Ucraina, alla soglia dei 100 anno diventò l’idolo dei «putinisti». Un ruolo che non avrebbe meritato.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.