CHARLES IVES, LA MUSICA E IL SENSO DELL’ESISTENZA SULLE TRACCE DI KAFKA (di Davide Cavaliere)
È noto che Franz Kafka, l’umbratile e inquietante scrittore praghese, lavorò quasi tutta la sua vita in campo assicurativo, mentre il misterioso Gustav Meyrink, autore di uno dei capolavori del fantastico, Il Golem, fu per lunghi anni impiegato di banca.
Oltre ai due sudditi dell’Impero austro-ungarico, esiste anche un altro artista, originale e modernissimo, che trascorse lunga parte della sua vita tra scartoffie assicurative e materiale di cancelleria: il compositore Charles Ives (1874-1954), universalmente considerato il principale compositore americano di musica colta del XX secolo.
Ives fu un rivoluzionario tranquillo, estraneo a ogni accademismo e privo di qualunque senso d’inferiorità nei confronti della cultura europea, incapace di attirare un vasto pubblico, ma apprezzato, fra i pochi, da Gustav Mahler e Leonard Bernstein – quest’ultimo presentò al pubblico la sua Seconda sinfonia, un capolavoro tardo-romantico estremamente meditativo.
Quest’uomo, mentre compilava pratiche e incartamenti, respirava la propria epica. Ascoltava, ancora prima di scriverle, le sue sinfonie. La sera, seduto nello studio, in maniche di camicia, fumando la pipa, costruiva temi e sonate; alzando lo sguardo dalla sua scrivania newyorkese, rivedeva il cielo ampio di Danbury e le colline di Litchfield. Le note gli giungevano attraverso il vento dell’ovest e le cime degli alberi.
Tra le sue tante composizioni, tutte caratterizzate da una dimensione liquida e soffusa, spicca, per brevità e trasognata sospensione, The Unanswered Question. Pensata, in origine, come elemento di un dittico intitolato Two Contemplations, comprendente anche Central Park in the Dark, Ives ritorna sulla partitura a distanza di ventiquattro anni, dopo aver lasciato gli affari, a riprova di quanto tale componimento lo tormentasse.
La «Domanda senza risposta» è un ritratto abbastanza completo della poetica del compositore americano: una tromba solista, contro un tappeto di archi con sordina («il silenzio dei Druidi»), pone una «domanda» riguardante il senso dell’esistenza, alla quale rispondono, dissonanti e insufficienti, quattro fiati.
La «perenne questione dell’esistenza», alla quale il quartetto di fiati («Fighting Answerers») cerca invano di fornire una risposta, si fa sempre più incomprensibile, fino alla resa finale. Resta solo più la vibrante monodia degli archi.
Aaron Copland, il brillante compositore di Appalachian Spring e Quiet City, che spesso dirigeva la composizione, la considerava «tra le opere più belle mai create da un artista americano». Il regista Terrence Malick ha impiegato il brano come parte della colonna sonora del suo capolavoro cinematografico, La sottile linea rossa.
Charles Ives, come Kafka, ha cercato, senza trovarlo, un senso all’esistenza umana, di cui non rimane che un suono, un lontano ronzio di sfere. The Unanswered Question è come il canto di Josefine per il popolo dei topi: un significato, e una Grazia, appena intravisti e a lungo ricordati.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.