“NOW AND THEN”, L’ULTIMA CANZONE DEI BEATLES…? (di Matteo Fais)
Il filosofo Jean-Paul Sartre, giustamente, parla della morte come un estraneo che giunge a porre fine alla progettualità che l’uomo, il singolo, è fin dal momento in cui nasce. C’è il romanzo che avete nel cassetto, la donna a cui avete promesso di convolare a nozze, il lavoro che vi siete proposti di completare domani e improvvisamente un qualcosa pone un eterno argine alle vostre aspettative. Non ha alcun senso, ma ci dovete fare i conti. Ogni vostro proposito deve considerare l’incertezza del domani.
Prendete John Lennon. L’8 dicembre del 1980, Mark David Chapman lo uccide, a New York, mentre rincasa. Chissà se la voce storica dei Beatles avrebbe potuto scrivere qualche altra strepitosa canzone, come una di quelle per i Fab Four, oppure una Imagine o Jealous Guy, o se l’uomo sarebbe divenuto l’ombra di sé stesso alla stregua del suo sodale Paul McCartney e degli altri membri del gruppo che contribuì a fondare.
Nessuno può dire cosa sarebbe successo perché, come sostiene il filosofo francese, la chiamata senza appello è giunta a porre fine alla sua possibilità di comporre, scrivere e dare alle stampe nuove proposte musicali. Ma cosa può accadere, oggi, in tempi di intelligenza artificiale?
Basti vedere il miracolo che è appena accaduto: Now And Then, un brano risalente agli anni ’70, è il nuovo singolo dei Beatles, appena uscito in tutto il mondo ed è stato recuperato da una demo registrata in mono, con un apparecchio che oggi farebbe sorridere i ragazzini – certo peggiore del registratore vocale che trovano sui loro cellulari.
E pensare che, ai tempi di Antology, nei già tecnologicamente avanzati anni ’90, non era stato possibile intervenire sul brano, isolare la voce del compositore dal pianoforte. Adesso, invece, dopo più di 20 anni, il pezzo assurge a nuova vita, divenendo addirittura l’ultimo single dei Beatles.
Cosa succederebbe, se i brani, per quanto appena abbozzati come questo, fossero centinaia? Per non parlare del fatto che, come si può vedere facilmente su YouTube, l’intelligenza artificiale sta già replicando alcune voci del passato, di gente non solo morta, ma trapassata. Abbiamo Morrison, per esempio, che canta Lana Del Rey (https://www.youtube.com/watch?v=iWIFywTSBRI). Certamente, il risultato non è ancora ottimale – ma, sia ben chiaro, ben più che decente, oltre che ascoltabile, molto più di tanti trapper recentissimi –, eppure qualcosa (di inquietante) si muove.
Potrà un giorno l’AI cantare una canzone per conto di, o scrivere una poesia per gli scomparsi Ungaretti, Montale, Quasimodo, Cardarelli? Con buona pace dei complottisti, no, a meno che non si parli di una replica grottesca. Perché? Proprio perché l’uomo è una progettualità proiettata verso il futuro.
Se io sono certamente ciò che ho scritto, nessuno può immaginare come cambierebbe la mia prosa se decidessi di essere un devoto di nostro Signore Gesù Cristo, se Allah mi illuminasse nel mio sordido cammino. Diventerei un uomo diverso, esattamente come, se potessi vivere 300 anni, tra 100 non sarei la stessa persona di adesso. Vedrei il mondo sotto un’altra luce, mentre al momento mi sono scelto per quello che era il mio tempo. Scrivo tramite un computer, invece che usando la penna d’oca, la biro o la macchina da scrivere; lo faccio secondo certe idee che sono in linea o in antitesi a ciò che tutti quanti, al momento, stiamo vivendo.
Per tal motivo, la nuova canzone suona come una brutta copia di ciò che furono gli anni ’70, totalmente fuori contesto come una lettera dei nonni riletta ottant’anni dopo. Tutto intorno a noi è mutato, la sensibilità non è la stessa e persino l’umanità ricorda a stento quella che fu allora. L’effetto è quello che si ha andando a visitare un museo o una piramide: ogni cosa appare esotica, distante, bella perché inconcepibile al momento.
È un fatto e da questa datità non si può fuggire: i Beatles sono stati, ma non potranno mai più essere. Ogni opera abita un mondo, un contesto spazio-temporale, un sentire che conosce limitazioni geografiche e temporali. Come insegna Midnight in Paris di Woody Allen, è ora di smetterla di guardare al passato. Il presente incombe e guardare indietro non farebbe che tarparci le ali. Non abbiamo bisogno ancora della coppia Lenon-McCartney – né, in Italia, di Mogol-Battisti –, ma di qualcuno nato in questo istante che guardi davanti sé.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.