ANDRE DUBUS, UN AUTORE UNICO – TORNA IN LIBRERIA “IL PADRE D’INVERNO” (di Matteo Fais)
In questo tempo che ha messo al centro della discussione la questione del genere e dei diversi ruoli al suo interno – francamente, a volte in modo stucchevole e grossolano -, ci si potrebbe chiedere, senza risultare oziosi, cosa sia una scrittura virile e se risulti ancora possibile.
La risposta, come sempre, ci arriva da oltreoceano e della grande letteratura americana, ed è netta, per quanto ricca di sfumature. John Fante, Charles Bukowski, Raymond Carver, Mark SaFranko, Ernest Hemingway scrivono da uomini. Il che, naturalmente, non vuol dire che si abbandonino a ridicole prese di posizione muscolari, alla smargiassata da bar, all’esibizione della propria potenza fallica. Tutt’altro! Proprio perché la loro mascolinità è ferma e sicura – non recitata -, non hanno timore di concedersi l’inevitabile debolezza, la fuga dalla prigione di una testosteronicità monolitica e inscalfibile, la possibilità di una sofferenza feroce.
Un altro esempio, a livello letterario, è certamente dato da Andre Dubus, di cui torna in libreria la ristampa (nella preziosa e rifinitissima collana Milestones di Mattioli 1885) di Il padre d’inverno, con la sempre superiore traduzione a cui Nicola Manuppelli ha saputo approntare per rendere fruibile l’autore al pubblico italiano.
Il testo è una raccolta di racconti che ruotano intorno a temi dei più disparati, per quanto quello dell’amore coniugale, paterno e filiale, risulti predominante. Il suolo americano si pone, in tal senso, davvero come un’inesauribile fonte per tutti coloro che vogliano osservarlo con occhio attento, critico ed empatico – evitando il mero tono accusatorio tipico degli Europei, un po’ sperduti, che scorgono solo contraddizioni e follie.
L’orizzonte antropologico non è molto distante da quello carveriano della low middle class, per quanto meno interessato alla ricaduta esistenziale di una certa situazione economica, e maggiormente concentrato sulla dimensione sentimentale ed emotiva di alcuni vissuti. Naturalmente, poi, certe storie legate alla guerra o alla vita militare, sottendono i trascorsi dello scrittore entro il corpo dei Marines che, evidentemente – si veda il suo unico romanzo, Il tenente -, hanno profondamente segnato la sua esistenza.
La cosa interessante di questa raccolta è che la scrittura, persino meno che in altre, è l’esatta antitesi di quella urlata, escatologica, che sciorina verità rivelate da sottolineare, di quelle che il lettore potrà poi appuntare sul suo quaderno speciale delle citazioni da rilanciare sui social. “Non ci pensava: come succedeva a un insonne, dare parole alle proprie sensazioni sarebbe servito a risvegliarle”: ecco, come si può notare, Dubus si muove in punta di penna, con grazia, evitando di entrare sfondando la porta o buttando giù il muro.
Persino un racconto come Il lanciatore, decisamente molto più difficile per noi Europei digiuni di baseball, e che quindi faticheremo non poco a comprendere senza perderci tra le righe, va affrontato comunque per imbattersi in passi in cui il tatto dell’autore rivela tutta la sua sopraffina capacità di indagine psicologica (“Per tutta la vita si era sentito sicuro. Nell’adolescenza sicurezza e speranza erano qualcosa di concreto: la stagione di baseball in corso, poi quella seguente, il baseball professionistico, le Major Leagues. Ma anche da bambino si era sempre sentito sicuro e speranzoso, in un modo astratto. Conosceva a malapena la sofferenza, ma questo non lo aveva fatto diventare insensibile o ingenuo. Quando la sua vita si era incrociata con quella di gente disgraziata, goffa, perdente, non gli era mancata la compassione. Semplicemente si era ritenuto fortunato. E ora gli sembrava di stare nel corpo di qualcun altro – un corpo debole e tremante”).
La vera cuspide, però, di questa raccolta è la short story che si trova in chiusura del volume e che gli dà anche il titolo. E dire che la storia è di una semplicità tale da potersi definire quasi banale: un padre divorziato che cerca in ogni modo di ricostruire uno spazio di normalità nel suo rapporto coi figli, quasi una seconda famiglia in cui questi possano ritrovare l’essenza di quella perduta, così da non vivere con loro solo momenti speciali, come quelli destinati a un genitore che si trova a trascorrere unicamente lassi di tempo limitatissimi con questi.
Eppure, la scrittura dell’americano tramuta la più comune delle narrazioni in un qualcosa senza precedenti, in una trama la cui densità si insinua ed emerge tra i risvolti (“Aveva reso la propria vigliaccheria urbana, mobile e sofisticata, ma forse, nella propria essenza, la codardia sa di essere sempre evidente. Era convinto che David e Kathi sapevano che i loro pomeriggi all’acquario, nel Museo di Belle Arti, al Museo della Scienza, erano case che Peter aveva costruito perché potessero stare insieme come un tempo. Con una sola differenza: c’era sempre un intrattenimento”).
Dubus si conferma ogni volta, a ogni stampa e ristampa, un autore da leggere, rileggere e possedere, per quel suo modo così peculiare di essere americano. Il che non significa sminuire gli altri suoi colleghi, ma riconoscerne il contributo, un’unicità irriducibile.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.