ALTRO CHE ESSELUNGA, LA GENTE NON SA NEANCHE COSA SIA LA FAMIGLIA “TRADIZIONALE” (di Davide Cavaliere)
Tra i deliri risalenti dalle fogne come irrespirabili miasmi, dopo la messa in onda della pubblicità di Esselunga, vi è il grande ritorno del mai dimenticato sogno infantile detto “famiglia tradizionale”. Molti pensano che questa sia composta da un padre, una madre, dai loro bambini e orientata a durare tutta la vita. Tale famiglia, a ben vedere, ha alle spalle non più di duecento anni di storia, si tratta infatti della famiglia borghese caratteristica dell’Ottocento.
Quella autenticamente tradizionale, dalla più lunga durata, è detta patriarcale, dove sotto allo stesso tetto convivevano nuclei familiari e generazioni diverse. I figli maschi dovevano restare tutta la vita dentro la propria famiglia d’origine, mentre la donna, dopo il matrimonio, si trasferiva con la propria dote a casa del marito. Simili strutture, caratteristiche del mondo rurale e premoderno, ruotavano attorno alla figura del Pater, ossia del membro più anziano della stirpe.
La modernità, coi suoi processi di industrializzazione e secolarizzazione, ha via via determinato la scomparsa della declinazione patriarcale, a vantaggio di quella coniugale, composta da genitori e figli che vivono sotto lo stesso tetto, separati dalle rispettive famiglie d’origine. Il sorgere di questo nuovo modello ha coinciso, grossomodo, con la scoperta dell’infanzia e del bambino come soggetto autonomo, dotato di bisogni peculiari, in controtendenza rispetto a un mondo premoderno che vedeva nell’infante nulla più che un omuncolo da sfruttare nei campi – altro che la povera creatura piagnucolante all’Esselunga.
La progressiva estensione dei diritti civili (divorzio, unioni civili, diritti delle donne), con la loro inevitabile prospettiva individualistica, ha determinato la nascita delle cosiddette nuove famiglie, che comprendono le convivenze più o meno transitorie, le unioni omosessuali, le famiglie formate da un solo genitore con prole, ricomposte o allargate, ossia quelle con figli provenienti dalla relazione con un precedente partner.
Lungi dal trattarsi di una decadenza dei costumi, l’indebolimento del modello monogamico e procreativo della famiglia tradizionale, intesa come unità sovraindividuale e “collettiva”, apre alla possibilità di nuove e più soddisfacenti forme di vita comune.
La forma cosiddetta “tradizionale”, di per sé, non garantisce la serenità dei suoi membri. Subordinare la propria individualità al “Noi” del gruppo familiare non è la strada per la felicità. La qualità di una famiglia è data dal grado di civiltà degli adulti che ne fanno parte, non dalla forma assunta dalla convivenza. Banalmente: è preferibile essere figli di genitori civilmente divorziati, che assistere ogni giorno a furibonde liti casalinghe.
Il calo della natalità conseguente a questo e ad altri mutamenti non dovrebbe spaventare. Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo è voluto dai due genitori. Generare per “dare figli alla Nazione”, o per obbligo sociale, è un atto incosciente. Decidere di non avere figli non è, necessariamente, egoismo, può essere anche un atto di responsabilità. Altrimenti, come scrisse Italo Calvino a Claudio Magris: “l’umanità diventa – come in larga parte già è – una stalla di conigli”.
Il vantaggio di vivere in una società aperta consiste nella possibilità di avere o non avere una famiglia, di poterla formare con chi più ci aggrada, di mettere al mondo o no dei bambini, di separarci se assistiamo al naufragio della relazione, il tutto senza pelose supervisioni etiche, siano esse “tradizionaliste” o “progressiste”. Il passato non è un paradiso perduto; nessuna restaurazione di uno ieri ampiamente romanticizzato risolverà i dilemmi e le contrizioni dell’animo umano. Ma poche prospettive sono più angosciose di quella che alla fine trionfino coloro che, volendo ripristinare le presunte virtù del passato, in realtà ci condannerebbero di nuovo a tutti i suoi difetti. Ma vallo a spiegare a dei menomati mentali che come unico libro, nella vita, hanno letto quello del Generale Vannacci.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
Ma voi pseudointellettuali avete anche pensieri NON dettati dalla televisione o avete proprio una tara che vi costringe a fare da opinionisti delle opinioni altrui?
Va bene tutto, ok, ma ricordatevi che essere offensivi è ben diverso da essere provocatori, ogni tanto, anzi spesso, confondete queste cose.
Un conto è scrivere sui social un altro è scrivere articoli. Datevi una calmata!
Carissimo, lei ha completamente ragione con un difetto. Lei vede il mondo dalla prospettiva di un adulto e si è completamente dimenticato di quella del bambino. Lo spot, tanto famigerato, a torto, secondo me, invece guarda la vita da quella prospettiva. E al bambino non frega nulla della storia, della civiltà aperta, ha bisogno solo di protezione e amore e in quello spot ce l’ha. È vero che non sempre questo avviene neppure sulla famiglia tradizionale, ma il nido da sicurezza, ti avvolge. Troppi nidi, troppi padri, troppi compagni, troppi patrigni e anche, troppe madri o compagne o matrigne sicuramente non danno ne l’amore ne la serenità. Poi la perfezione non ci sarà mai in nessuna versione della famiglia che sia tradizionale o no. Ma la ripetitività conosciuta delle giornate passate in famiglia, le posso assicurare hanno un valore insostituibile per un bambino.
Buona vita
Tutti hanno commentato solo il contenuto di questo spot polemizzando o apprezzando. Mi sono occupata di marketing e pubblicità per quasi 50 anni e non ho mai visto nulla di così impeccabile nel centrare l’obiettivo.
Onore al genio creatore di questo spot, tecnicamente perfetto nel raggiungimento dei 3 principali obiettivi della pubblicità:
1 – Cognitivo cioè che il brand venga riconosciuto e che susciti delle opinioni positive.
2 – Affettivo cioè creare emozioni verso il brand e quindi approfondire la relazione col brand stesso.
3 – Conativo cioè stimolo all’acquisto con fiducia nella bontà
A ciò bisogna aggiungere la scelta della tempistica di lancio del messaggio, impeccabile nello sfruttare l’attuale situazione italiana come cassa di risonanza. Se esistesse darei un.premio nobel. CHAPEAU.
Certo che come ben detto nell’articolo, si deve mettere al mondo dei figli per amore, ma se poi con l’esempio progressista della famiglia moderna, gli si distrugge la vita solo perché oggi fare sacrifici in virtù del bene dei figli è diventato il nuovo peccato, o come dice nell’articolo, tornare al vecchio con i suoi difetti!!!!
Ma perché sembra a qualcuno che il nuovo stia creando una generazione così bella e sana.?…….
L’unico commento che voglio fare è questo : se dovessi scrivere ciò che penso di quanto sopra letto, rischierei delle denunce penali.