ADDIO A GIANNI VATTIMO, IL FILOSOFO DEL PENSIERO DEBOLE, LA VERA BASE DI UNA DEMOCRAZIA LIBERALE (di Matteo Fais)
Gli Italiani vivono fuori dal tempo, quindi ignorano beatamente il Postmoderno, pur avendone adottata, almeno minimamente, la visione, per lo meno nella lotta contro il green pass. Figurarsi, dunque, cosa possono sapere di Gianni Vattimo e del suo Pensiero Debole che, partendo dai risultati dell’indagine culturale del primo, cerca di trarre dei possibili sviluppi positivi. Purtroppo, per i propri connazionali, si può fare poco o niente, ma parlare del filosofo torinese è un dovere morale, un imperativo forte, una chiamata di fede.
Per farla breve e il più semplice possibile, a cavallo tra gli anni ’70-‘80, un professore francese, Jean-François Lyotard, dà alle stampe uno studio sullo stato della cultura del tempo, intitolato La condizione postmoderna. La tesi di base è che sono oramai venute meno le grandi narrazioni che hanno animato la modernità. L’idea di progresso, di una Storia orientata a un compimento e a uno scopo (telos) è morta. Questo vertice morale dell’umanità non si vede, il conflitto non è giunto a soluzione dialettica. Lo stesso marxismo che aveva promesso, sempre nel solco di tale tradizione, la palingenesi dell’uomo si è risolto nello stalinismo dei gulag. La scienza, che si era creduto avrebbe portato al benessere dei popoli, spesso è risultata mossa unicamente da interessi economici – e dire che al periodo Covid mancavano quarant’anni! – ed è stata utilizzata anche nei modi peggiori, come insegnano i campi di sterminio.
È partendo da tali mere constatazioni che Gianni Vattimo dà forma alla teoria passata alla storia con il nome di Pensiero Debole. Anche in questo caso, per porla nei termini più accessibili, si potrebbe dire che la visione in questione vuole interpretare positivamente e con fiducia la caduta dei valori assoluti, ritenendo che senza di essi si possa andare serenamente avanti semplicemente accettando di vivere privi di fondamenta solide, ma nel rispetto reciproco, smettendola di figurarsi come detentori di una Verità unica da poter, quindi, imporre al resto del mondo manu militari. Ciò che bisogna perseguire, insomma, è una verità, scritta in minuscolo, frutto dell’intersoggettività, del dialogo perpetuo, che muta e può continuamente essere messa in dubbio.
Sostanzialmente, il Pensiero Debole è la perfetta rappresentazione dell’ideologia di una sana Democrazia Liberale – quindi inesistente – e di una società aperta in cui, fatti salvi alcuni principi quali la sacralità della vita umana, il solo conflitto lecito è dialettico. Va da sé che, entro tale società, ci possono essere le chiese dove i fedeli si recano a messa e i locali per scambisti – ognuno è libero di scegliere se seguire la parola di Dio, o partecipare a un’ammucchiata. Lo stesso Vattimo era un fervente cattolico – evidentemente, non desiderava di imporre la sua fede a cannonate – e un omosessuale.
È abbastanza chiaro, altresì, che la Nazione italiana non è ancora pronta per tanta tolleranza applicata, tra squadracce di fanatici tradizionalisti che odiano i finocchi e vorrebbero le donne velate, e gruppi terroristici arcobaleno che sognano di modificare la lingua per decreto e di rendere reato la repulsione per la sessualità fluida – lecita, invece, finché non diviene azione violenta.
La cosa più ambigua e spiazzante della figura di questo immenso filosofo è quello che si potrebbe definire “il paradosso di Vattimo”, ovvero il fatto che lui per primo non sia stato esattamente fedele al suo magistero. Fu vicino a quella feccia immonda del PCI e, per esempio, ben poco clemente verso le scorribande sessuali di Silvio Berlusconi – per alcuni la vera incarnazione malefica della postmodernità.
Ma tutto ciò poco importa: la vita umana è transuente, solo le idee conservano una forza eterna. Quasi mai una persona, salvo che non sia un completo idiota, vive in accordo al proprio pensiero. Il filosofo, più che mai, abita la lacerazione e il conflitto, cammina sulla lama affilatissima della contraddizione. Come disse Heidegger, introducendo Aristotele, “nacque, lavorò e morì”, prima di passare all’unica cosa importante, il suo insegnamento.
Vattimo è morto, viva Vattimo. Perché ogni pensiero che non sia debole è solo patetico fanatismo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.