BASTA CON L’OSSESSIONE PER LA MATERNITÀ (di Matteo Fais)
I costrutti sociali sono in buona misura stronzate che, contrariamente a quanto si crede, non hanno alcun fondamento iperuranico – i famosi sacri principi. Alcuni, certo, come il rispetto dell’integrità fisica altrui, sono indispensabili, e da difendere a spada tratta, pena la caduta in uno Stato di Natura di ritorno – cosa certo non auspicabile.
Va da sé, a ogni modo, che tanti tra quelli restanti sono un qualcosa che va decostruito, con spirito iconoclasta, per liberare il soggetto da pressioni che non trovano fondamento nel suo essere. Costringere un bambino a studiare fino alla laurea, se non oltre, in un ambiente in cui palesemente non si sente a proprio agio, perché qualcuno ha stabilito che la vera attività umana è quella intellettuale, è unicamente una forma di violenza. Esattamente come lo sarebbe forzarlo a praticare uno sport di gruppo, quando questo non ha nessuna propensione verso tali attività condivise e potrebbe, comunque, tenere allenato il corpo con svariati altri tipi di esercizi.
Altrettanto dicasi per la maternità, da sempre incoraggiata in ogni modo ma a cui, detto fuori dai denti, molte donne risultano sempre più insofferenti. Usando un poco di empatia, non è difficile capirne il motivo. I figli sono, per dirla in un francese ricercato, una rottura di coglioni, tanto più che oggi, diversamente dal passato, vanno scorrazzati in lungo e in largo, per fare attività fisica, prendere lezioni di musica, delle lingue più disparate, così da potergli garantire maggiori possibilità in futuro. In tutto ciò, volenti o nolenti, i ragazzini hanno bisogno più di tutto della figura materna – in particolare della sua almeno presunta comprensione. Non per niente, i tribunali li assegnano sempre a questa, in caso di separazione.
Il punto, però, è che costringere le donne entro il binario già tracciato della maternità può risultare mortale proprio per i figli. Se una ha dubbi, se le manca quello spirito di sacrificio e dedizione, meglio che si dedichi ad altro. Il fatto che spesso in loro, magari sul finire dei tempi supplementari, spunti l’urgenza di sfornarne uno non deve trarre in inganno: sentire una vaga spinta non vuol dire possedere le capacità e lo spirito giusto. Quante persone dicono “vorrei tanto saper suonare uno strumento”. Il motivo per cui, poi, non lo praticano è perché la vita di un pianista, chitarrista e via dicendo è fatta di ore e ore quotidianamente dedicate all’esercizio e allo studio. Se serve il talento, è anche vero che, senza la costanza, sovente questo si dissipa.
Una donna che fa figli senza coscienza, spinta dal capriccio del momento, da un’urgenza biologica, spesso finisce solo per crescere degli infelici. Un bambino deve essere amato sopra ogni cosa, deve divenire la ragione di vita, la sua esistenza il proprio modus vivendi. Se una ha aspirazioni più urgenti, meglio non inchiodarla a una prassi a lei non congeniale.
Ogni volta che si costringe qualcuno entro percorsi che non sente suoi, di solito non si ottengono risultati positivi. Davvero, meglio gattara che triste genitrice incapace di rivolgere ai propri figli un vero sguardo d’amore. L’ossessione comunitaria alla base del fanatismo familista, purtroppo, conduce proprio a questo, a pensare che un soggetto non possa realizzarsi se non come parte di un insieme più ampio, se non a mezzo del riconoscimento altrui – e, dice bene il filosofo, “l’inferno sono gli altri”. In verità, la solitudine come scelta non è un peccato e spesso ci evita la mestizia di una vita di apparenze priva di reale sostanza.
L’amore per i figli, esattamente come quello monogamo rivolto verso un essere dell’altro o del proprio sesso, non può essere scelto – sopravviene – ed è tutto fuorché una forma diffusissima del proprio stare in società. Non bisogna farsene una colpa e la libertà altrui non deve per forza piacerci o incontrare la nostra approvazione. Va semplicemente accettata per ciò che è.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.