LE FEMMINISTE CHE CONTESTANO WOODY ALLEN SONO DONNE CHE, NON AVENDO PROBLEMI SERI, SE LI DEVONO CREARE (di Matteo Fais)
L’Italia è un Paese in cui, contrariamente alla vulgata nazionale e ai pubblici piagnistei, si sta molto meglio di quanto si faccia credere. La prova provata sta nel fatto che i suoi abitanti si gettano anima e corpo, con singolare partecipazione, in discussioni bizantine di lana caprina.
Un giorno, è Arisa nuda che mostra il culo per trovare marito. Il successivo, potrebbe capitare, come in effetti è accaduto, che 4 sbandate femministe si ritrovino a Venezia, al festival del cinema, per urlare contro Woody Allen, uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Il motivo è presto detto: l’autore di Manhattan fu accusato in passato, dall’ex moglie, Mia Farrow, di aver stuprato la figlia. L’uomo è stato assolto per mancanza di prove – strano, vero, che una compagna dica falsità sul conto del proprio marito?!
Non c’è niente da fare, i progressisti – e quindi le femministe, che ne sono una diretta emanazione – sono il classico prodotto di una società del benessere, stanca e decadente. Purtroppo la maggior parte degli individui, una volta venute meno le necessità dovute alla vita pratica, impazzisce, sprofonda nella disperazione della pancia piena. Se tutti questi squilibrati – perché erano donne e anche uomini – dovessero svegliarsi e pensare a coltivare il campo a 10 chilometri da casa – da percorrere a piedi -, o a fare il pane e la pasta, la società non avrebbe di questi eccessi.
L’assenza di uno scopo nella vita porta simili soggetti a ricercare soddisfazione in attività sostitutive e marginali, tendenzialmente prive di senso, in cui investire tutte le proprie energie per riempire il vuoto altrimenti insopportabile di un’esistenza in cui colazione, pranzo e cena sono comunque garantiti.
Da qui tutte le trovate estemporanee come reagire a una presunta imposizione del desiderio maschile, frutto del loro incubo paranoide, lasciandosi crescere i peli sotto le ascelle, o sulle gambe – si veda Giorgia Soleri che si vanta di essere la prima sul red carpet con una medusa brulicante addosso, dimenticando Sofia Loren. Ecco cosa succede ad aver incentivato l’istruzione di massa: i più non possono vivere se non consumandosi di fatica. Una vita intellettuale richiede dedizione, controllo di sé, una innata superiorità rispetto alla mesta bassezza della materia e del suo richiamo.
Da qui quelle urla quali “lo stupratore non è malato, è figlio sano del patriarcato”. Come se, peraltro, Woody Allen non fosse un sostenitore della libertà femminile, o avesse mai dipinto la nevrosi e le manie rosa come un qualcosa di scandaloso e da combattere, invece di manifestare quella sua dolcissima empatia verso le debolezza dei generi – entrambi.
Ma le femministe non lo sanno. Come la maggior parte degli Italiani, hanno studiato per rimanere ignoranti, per non riuscire a distinguere tra ciò che è importante – l’opera di un artista – e la sua vita – che, come ogni cosa, naufragherà presto nel nulla eterno.
Se vivessimo in un Paese in cui la gente non ha tutto questo tempo da perdere, quei giovani sarebbero davanti alla televisione a sognare ed emozionarsi di fronte a uno dei pochi registi che è riuscito a coniugare l’insensatezza della vita con il sorriso.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.