LA “WOKE” DISNEY HA UN BUCO DI 900 MILIONI DI DOLLARI (di Davide Cavaliere)
Tutti i film prodotti dalla Woke-Disney sono stati un flop. Alla popolare casa di produzione non resta che aggrapparsi, disperatamente, alla sottana della nuova Biancaneve, in uscita a marzo 2024. Si tratta di un remake depurato dalla presenza dei nani, del principe e di tutto ciò che, in linea teorica e generalissima, potrebbe essere ricondotto al fantomatico “patriarcato” o giù di lì.
Il nuovo corso “debianchizzato” e femminista non è stato apprezzato dal pubblico internazionale, decisamente ancorato alla tradizione, ai classici, ai baci salvifici dati senza consenso e probabimente ancora affezzionato ai nani e alle loro simpatiche cuffie colorate. Il live action della “Sirenetta” blackwashed ha generato una perdita di 130 milioni di dollari che, sommate a quelle precedenti, come ha fatto notare l’analista Vaillant Renegade, portano Disney a un buco complessivo di 900 milioni di dollari sonanti.
Cosa non ha funzionato? Semplice: la miscela di “africanizzazione” dei protagonisti, gli eccessi buonisti e consolatori, l’ossessione per l’inclusività e il gender, il manifesto tentativo di voler educare, anzi, norcoreanamente, cinesamente e cubanamente rieducare gli spettatori invece di intrattenerli – vanno aggiunte anche le onerose campagne pubblicitarie, il politicamente corretto, infatti, non si vende bene. Il tutto ha condotto Disney sull’orlo del baratro economico.
Ma le sorprese non sono finite: ai fallimenti al botteghino, infatti, bisogna sommare il crollo degli abbonati a Disney+, quattro milioni in meno dall’inizio del corrente anno. Una tendenza negativa che non accenna ad arrestarsi e che ha spinto la multinazionale a una riorganizzazione interna, orientata in senso meno politically correct.
Il crollo rovinoso di un’azienda come Disney, ci comunica due cose fondamentali: primo, che le minoranze organizzate e ideologizzate, nonostante il consistente armamentario mediatico dispiegato, faticano a fare breccia nell’immaginario collettivo del pubblico; secondo, che un mercato libero, entro cui i consumatori e i fruitori di contenuti televisivi possano scegliere tra prodotti differenti, favorirà creazioni più “tradizionali”, prive di ribaltamenti etnici e sessuali.
Tutti coloro che avversano il progressismo imperante, con la sua convinzione d’incarnare il “senso della Storia” e di doverlo imporre a chicchessia, dovrebbero battersi per un maggiore pluralismo informativo e mediatico. Il libero mercato, la logica del profitto, la libertà di scelta sono strumenti utili non solo a rivelare l’inanità del wokism, ma anche a farlo fallire. Il blackwashing deve essere costretto a fare i conti con il mercato.
Il mondo proposto da Disney non è inevitabile, la propaganda woke non è onnipotente, a essa va opposta, come si diceva, la libertà di scelta (non certo un monopolio speculare), una libertà che i progressisti odiano proprio perché capace di minare i loro piani. Come disse Louis Brandeis, giudice della Corte Suprema americana, “spesso l’irreversibile è solo ciò a cui non si resiste”.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.