NON È SOLO LO STUPRO, IL PROBLEMA SONO I GIOVANI PRIVI ANCHE DI UNA CULTURA (di Matteo Fais)
Partiamo dalla contingenza. Una festa di ragazzi, poco più che adolescenti, appena maggiorenni, in provincia di Firenze. È ragionevole pensare che i maschi non abbiano, oggi come oggi, neppure dei peli significativi sulle guance.
Due praticano sesso di gruppo con un’amica ubriaca, di fronte agli altri. Lei aveva già avuto rapporti con uno, sempre coram populo. Oggi, i due vengono assolti dall’accusa di stupro, dovuta all’alterazione alcolica della ragazza, con la motivazione che avrebbero dato per scontato il consenso di lei, considerati i trascorsi – da qui la polemica.
Tutto ciò poco importa, almeno in questo caso. La cosa che colpisce sono dei ragazzi non ancora formati – perché a 18 anni, di questi tempi, non sei una persona fatta e finita – che riescono ad abbandonarsi a un’orgia, durante un party, con una ragazza, loro coetanea, certo più avanti nello sviluppo fisico, che si sente così libera da potersi ubriacare – non doveva tornare a casa? – e che fa sesso in pubblico come se fosse una cosa senza importanza, per niente intima.
I teorici da social della decadenza imperante diranno che tutto ciò è il risultato di aver formato una generazione di sbandati, per cui non ci sono più valori. La colpa di tutto ciò sarà data ovviamente ai cattivi maestri, dalla Murgia a Maria De Filippi, passando per i teorici del ’68, che avrebbero contribuito a distruggere l’idea di famiglia, decoro morale, e costumi sessuali contenuti. Niente di strano: negli anni zero del nuovo millennio, Monsignor Caffarra, da Bologna, in un discorso pubblico, lanciò i suoi strali contro Gianni Vattimo e Umberto Eco, definendoli rappresentanti di un “nichilismo gaio” e, nella trasposizione giornalistica, appunto cattivi maestri – immaginate quanti giovani possano leggere Vattimo, o, oggigiorno, la scomparsa autrice sarda.
La verità è ovviamente che queste sono semplificazioni e manipolazioni da decerebrati e che il miglior pensiero progressista non ha mai teorizzato la distruzione totale dell’autorità, il pensiero che tutto va bene e uno vale uno.
Il postmoderno e il pensiero debole hanno voluto invitare a un’assimilazione critica di una certa tradizione – cosa che tutt’oggi manca. Per esempio, se lo Stato, con tutte le sue carenze sul piano della salute pubblica, improvvisamente vuole impormi un trattamento sanitario obbligatorio, permettendomi di vaccinarmi anche a mezzanotte, è ragionevole che io sviluppi dei dubbi nei suoi confronti, sapendo che da tempo la Scienza si muove guidata da interessi economici e non solo dalla mera volontà di apportare un miglioramento all’umanità. Ma va da sé che non ci si può comunque recare dal verduraio per farsi diagnosticare un cancro. Similmente, Vattimo, da cristiano, asserisce un pensiero debole per sostenere, saggiamente e con grande senso etico, che lui non desidera di imporre la propria fede a cannonate.
Questi giovani non hanno scelto di liberarsi, perché non hanno alcuna autorità da combattere – probabilmente, non sanno neppure che esista. Non sono personaggi tragici di un romanzo dostoevskiano che hanno deciso per il Male in luogo del Bene, Satana ripudiando Croce, per affermare il proprio libero arbitrio contro la violenza di una volontà superiore. Non cercano la decostruzione del desiderio da una struttura oppressiva. Non sono neppure nell’età per fare una scelta consapevole, fosse pure quella del nichilismo più estremo contro una società asfittica e consumistica, l’idea che fu di Kurt Cobain, morto suicida, secondo cui “è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”. Per loro non esiste un contropensiero, un’alternativa intellettuale. Nessuna Simone De Beauvoir guida la loro preferenza per l’aprire le gambe, in luogo di tenerle chiuse, contro un’ipotetica struttura patriarcale.
Questi giovani sono semplicemente allo stato brado, frutto della morte della cultura che neppure il più estremo dei pensatori progressisti si è mai figurato o, tantomeno, ha auspicato. Magari, come ipotizzava Monsignor Caffarra, fossero tutti lettori di Vattimo, Cacciari ed Eco, in lotta contro gli assoluti, l’ipse dixit e via dicendo! Più che altro, si tratta di cretini. Anche per dissacrare il sesso bisogna pensarlo da prima inviolabile; come per asserire che non esistono fatti, ma solo interpretazioni, bisogna rendersi conto – e problematizzare il fatto – che già questa è un’interpretazione.
Altro che condizionamenti negativi, questi ragazzi sono regrediti allo stato di natura. Non leggono certo Marcuse per far dispetto al padre bigotto e democristiano. Persino i Nirvana sono troppo avanti per loro.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.