MARCO RIZZO, IL “COMPAGNO” PERFETTO PER IL MONDO LIQUIDO (di Matteo Fais)
Nella notte in cui tutte le vacche sono nere, le donne sono dette tali anche se hanno il pene, l’operaio vota a Destra, i Parioli sono a Sinistra, Rocco Siffredi si è sposato in Chiesa, tutto è lecito, persino Marco Rizzo, il comunista che sogna, tra un Ventennio, di trovarsi effigiato in un busto, mentre qualcuno aggiunge “quando c’era LVI i treni per i gulag arrivavano in orario e i controllori non chiedevano il green pass. Si moriva ai lavori forzati, ma il vaccino non era obbligatorio”.
Strano personaggio Rizzo, così compiaciuto da aver creato un comunismo a sua immagine e somiglianza. Come direbbe un Massimo Recalcati (in versione Crozza), dopo averlo visitato: “Citando Lacan, a quelli come me e lui si rizza solo guardandosi allo specchio, con la differenza che il leader, nel nome, porta scritto un destino onanistico”.
Il politico in questione non è controverso, ma confuso e spiazzante come il nostro tempo liquido, in cui ti svegli e puoi sentirti un po’ lui, un po’ lei, un po’ gatto spaziale del Guatemala. La macchina del tempo, nella sua versione di Ritorno al futuro, viaggia a seconda dei giorni dagli anni ’30 in Italia, a quelli in Germania, al ‘17 Sovietico, per approdare in una zona indistinta tra Cuba e la Corea del Nord – dove la magia del compagno Mago Merlino ha sconfitto il covid, con la sola imposizione delle mani del Leader Maximo e del Glande Leader insieme, uniti contro il virus colonialista.
La sua ultima intervista per “La Verità”, sognando la “Pravda” – ma accontentandosi dell’italico prodotto nazionale, da bravo sovranista -, è materia da sociologi e psichiatri del sovranazionale paraculismo.
Uno, nessuno e centomila Marco Rizzo. In tal senso, è il più postmoderno di tutti: rimbalza da Destra a Sinistra, dall’antiautoritarismo sanitario alla Cina mascherinata, dalla Tradizione all’Internazionale non antirazziale, da Lenin a Putin – la Le Pen lo ingusta carnalmente solo con i tacchi a spillo e l’uniforme nazista. È contro la guerra perché questa è una carneficina senza regole imposta dalle multinazionali del gomblotto. Lui, essendo appassionato di boxe, se fosse Imperatore Comunista d’Occidente, come nei suoi sogni erotici, risolverebbe tutto, tra Capi di Stato di aria testosteronica, a cazzotti – arbitro il fantasma del Che.
Sessualmente, si vocifera che abbia tante donne quanti voti il suo partito. Posizione preferita il 69, perché rompe con la gerarchizzazione dei ruoli – anche se lui considera questi discorsi politicamente corretti, mentre la scorrettezza vera è dire che tutti dovremmo essere poveri come nell’URSS. Se Rizzo facesse un porno sarebbe extremo, stile Max Hardcore o Facial Abuse, e si giustificherebbe, mentre sputa e piscia in faccia a una cheerleader, dicendo che lo fa per finanziare il Partito. Poi, lo si può immaginare che vola dal suo omologo russo – quello che, diversamente da lui, ce l’ha fatta – per difendere la famiglia naturale, formata da padre che va a troie e una madre che chiava con il commercialista, che rifiuta il Reddito di Cittadinanza in nome della “dignità del lavoro” e crocifigge il figlio ricchione per il suo stakanovismo nel consumare filmacci gay prodotti dall’industria capitalista.
Altro che pensiero debole! Rizzo è Vattimo, dopo un pasticca di LSD prodotta a chilometro zero, con operai negri che non abbassano i salari ai colleghi italiani ma donano il proprio alla causa. Se il Duce l’avesse avuto come oppositore, non l’avrebbe mai mandato al confino, limitandosi a dire a Ciano “i suonati lasciali stare”.
O tempora o mores rossobruni! Toni Negri ha novant’anni e si sentono tutti – è proprio un figlio del secolo scorso. Rizzo è giovane e come tutti i giovani non ha ancora capito cosa farà da grande, o forse ha un pensiero che gli anziani non riescono a comprendere essendo troppo lineari. In certi momenti, per fermare la guerra, se fosse in America, voterebbe il compagnone Donald Trump. Un amore politico decisamente non transfobico, ma perversamente transoceanico.
Ecco perché il Rizzo a intermittenza capitalista o rivoluzionario li ha in-camerati tutti. Piglio leniniano, rasatura mussoliniana. Ci vorrebbe un suo giornale, tipo “Il popolo comunista d’Italia”, mescolando ritratti di figure cardine da Giovanni Gentile a Kim Jong-un, passando presumibilmente per John Wayne – la motivazione per quest’ultimo sarebbe “ho sempre amato gli uomini massimamente virili, forse mi piacciono un po’ troppo, ma sono sposato con una camerata che mi fa da mistress”.
Lui è così. Ricorda la canottiera del padre – mica quella del Bossi, così borghese -, operaio al turno di mattina e carrozziere nel pomeriggio, uomo consumato dalla fatica, che si addormentava tra primo e secondo a cena – ah, la famosa dignità del lavoro che consuma e nobilita al contempo!
Destra e Sinistra sono due facce della stessa medaglia, lui e l’ex Presidente americano due facce dello stesso dollaro distribuito tra gli amanti dell’URSS destrorsa e dell’America polpottiana.
Per comprendere la complessità del suo pensiero ci vorrebbe una terapia dallo psichiatra, in un campo di rieducazione cinese. Stare dalla sua parte è semplice come dichiararsi maschio etero cis gender e amare il proprio amico di infanzia, o essere una fascista che raggiunge l’orgasmo solo se le gridano “troia di classe, la prenderai in culo dalle masse”. Se ti iscrivi al suo Italia Sovrana, meriti lo psicologo di cittadinanza. Prenderlo sul serio sul piano ideologico sarebbe da manicomio.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.