LA BANALITÀ DEL MARE – AL DIAVOLO IL FERRAGOSTO (di Davide Cavaliere)
L’estate è la stagione più frivola dell’anno. Per questo, forse, è la preferita dagli Italiani, popolo che ha eletto il superficiale a stile di vita. Tra canzonette spensierate e demenziali («Ho visto lei che bacia lui…»), preoccupazioni fasulle per la «prova costume», cocktail annacquati, ricche vacanze ostentate sui social ma finanziate a debito (ad agosto tutti a Mykonos, a settembre tutti da Compass), prescrizioni telegiornalistiche per rimanere idratati, i nostri connazionali danno il meglio del peggio di sé.
I conformisti nazionali amano l’estate sul lido, proprio come d’inverno amano andare a sciare. In ogni caso sembra che siano contenti di accalcarsi da qualche parte: sulle spiagge o in coda per un posto in funivia. La gente che «va in ferie» è triste quanto un cane abbandonato in autostrada – ovviamente abbandonato d’estate, sacrificato sull’altare delle ferie agostane, perché l’estate è una stagione brutta e anche crudele.
Se chiedi perché andare al mare sarebbe bello, nessuno saprà rispondere. Il mare «è bello» per statuto, per decreto, per autorità. Qualcuno, forse, dirà che esso «è poetico» e, in effetti, non esiste canzone o nenia napoletaneggiante che non evochi il venerato mare. Il pelago, piatto e mutevole quanto i conformisti che vi si fanno il bagno, è la massima espressione del kitsch: «una terrazza sul mare», «tramonto sul mare», «infinito come il mare», «Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci»… e via così, di fesseria in ovvietà. Facendo il verso ad Hannah Arendt: la banalità del mare.
La gente smania per andare in spiaggia. Le rive italiane si popolano di rettiliani, non quelli dei complottisti, ma coloro che vogliono «prendere il sole». Gli hanno inculcato questa fissazione e non riescono a farne a meno. Le ferie estive, con annessa autocottura sulla rena, sono uno status symbol, una cosa per «arrivati», un obbligo sociale. A mezzogiorno, i bagnanti, si recano presso un «ristorante sulla spiaggia» dove, per partito preso, è tutto buonissimo, anche se fa schifo, e inizia la pubblicazione compulsiva di pietanze vomitevoli.
Il pomeriggio che si fa? Facile: si leggono i rotocalchi o i «libri da spiaggia», (delle cagate immani, ma se uno legge «libri da spiaggia» significa che legge solo in spiaggia), si affitta un pedalò e come dei coglioni si va «fino alla boa», oppure si gioca coi racchettoni. I più ricchi andranno in barca, non perché gliene importi qualcosa della suddetta, ma solo perché da un certo reddito in su questa diventa un obbligo morale.
Le chiacchiere da spiaggia sono altrettanto imbarazzanti: le auto elettriche che prendono fuoco per il troppo caldo, il costume della Ferragni, il rincaro delle case al mare, il clima che è sempre cambiato… non basterebbe un nuovo Gustave Flaubert a raccontare questa sconcertante idiozia.
A chi ha conservato un po’ di eleganza (e intelligenza) non resta che attendere, speranzoso, l’inverno, non quello stagionale, bensì quello nucleare.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
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