INVITO AL VIAGGIO – VILLA PALAGONIA, “DEI MOSTRI”, A BAGHERIA (di Chiara Volpe)
Lo chiamavano Il negromante, per l’attrazione che aveva verso la magia, l’evocazione dei defunti e le arti divinatorie. Di Francesco Ferdinando II Gravina Cruyllas dicevano fosse molto brutto, una figura di cera dimenticata vicino al camino. E cattivo con tutti, soprattutto verso le sue numerose mogli.
Ci sono soltanto ricordi dolorosi nella sua casa, Villa Palagonia, situata a Bagheria, città delle Ville e di villeggiatura per l’aristocrazia palermitana. Le persone sane di mente evitano di tornarci, mentre le altre perdono il senno. C’è qualcosa nell’aria di quel posto enigmatica e inquietante, un senso di angoscia opprimente e in modo contagioso tocca me e ogni cosa intorno, è dilagante. Qualunque stimolo si inquina, una volta entrati l’atmosfera e la bizzarria si impadroniscono e risucchiano ogni movimento vitale in una spirale cupa e folle. Lì sono stati girati molti film, Dalì voleva acquistarla e Guttuso ci giocava da bambino.
Ma non vuoi andartene via. È in fondo una delle tante ville barocche nobiliari, una bella casa a cui forse ci si deve abituare e che empaticamente trasmette la pazzia, i gusti e le passioni del suo principe. Le statue erano 200, adesso circa 60 ed erano poste lungo tutto il viale prima del cancello, così chi giungeva a Bagheria era introdotto a un certo stato psicologico.
Uomini deformi di ogni sorta e origine, gobbi, nani, musici, dei, satiri, bestie antropomorfe, draghi, serpenti, figure strambe di cavalli con le dita e di umani con teste animali, esseri malformati che fungono da colonne popolano e decorano tetti e cornicioni che, a loro volta, sono ondulati senza senso alcuno, l’assurdo accompagna e accresce la curiosità di addentrarsi in quell’incubo visionario, la cosiddetta Villa dei mostri.
E mi trovo ancora fuori, nel cortile, ampio e silenzioso. Appena oltrepassati i cancelli, ti lasci alle spalle una vitalità che perderai lentamente.
Finiti i gradini si accede al salone, ma prima gli endecasillabi che campeggiano l’entrata: “Specchiati in quei cristalli e nell’istessa magnificenza singolar contempla di fralezza mortal l’immago espressa”. Non puoi fare a meno di leggere e, una volta dentro al salone, di notare gli specchi che rivestono la volta e che deformano e moltiplicano il tuo riflesso. “Lo specchio riflette la rosa, non il suo profumo”, scrive Marcel Mariën. Nulla di più vero ed è allora che comprendi quanto sia fragile e vanesio l’essere umano, che non guarda mai oltre un’apparenza che crede eterna. Ma si sa, l’uomo crede qualunque cosa, fuorché alla verità.
È allora che immagini tutti quei mostri che grottescamente danzano in un turbine caotico, demoniaco e romantico.
Sedie dai piedi differenti così da rimanere zoppe e rendere impossibile stare comodi, marchingegni camuffati da statue per orchestrare macabri scherzi, busti dal profilo stupendo che, nell’altra metà, sono scheletri, un’acustica da galleria sotterranea. Tutto sembra esorcizzare un pensiero e una preoccupazione. C’era qualcosa di molto più storto dentro di lui, qualcosa che voleva nascondere bene, come un cadavere dentro a un armadio. La sua oscurità interiore era così densa, che in fondo avrebbe potuto nascondere qualunque cosa.
Se “parlare è da stupidi, tacere è da codardi e ascoltare è da saggi” (Carlos Ruiz Zafón), bisogna immedesimarsi e unire i puntini: dietro tutto questo c’è la precisa volontà di creare un luogo di aggregazione, dove un gruppo di aristocratici possano dedicarsi alla filosofia alchemica, lontano dal Tribunale dell’Inquisizione palermitano, ostile e contrario.
La simbologia, del resto, è chiara: la pianta claviforme dell’edificio, chiave di sapienza eterna, che apre alla liberazione e alla trasformazione psichica e spirituale dell’essere umano che, perfezionandosi, giunge a mutare se stesso da “vile piombo” in “oro filosofico”. Non per niente, insieme a Villa Valguarnera, è quella che maggiormente si fa notare per la simbologia alchemica.
Il dio Mercurio, tra sculture e decorazioni, è lui che presiede il processo alchemico della trasmutazione della materia dallo stato primordiale della nigredo, attraverso l’albedo, fino a giungere a quello finale della rubedo.
Era strano sentire di essere così distante da una persona, ma nel frattempo capirne ogni singola intenzione, pensai. Sono tante le ragioni per cui mentire a questo mondo, una è sicuramente proteggere il proprio segreto, la propria ambizione suprema, il proprio sogno. Era un folle consapevole costui, o pazzi sono coloro che non hanno mai compreso quanto insensata sia la propria esistenza? La nostra vita è specchio di ciò che siamo dentro ed è tutto ciò che resta di noi.
Chiara Volpe
L’AUTRICE
Chiara Volpe nasce a Palermo, nel 1981. Laureata in Storia dell’Arte, ha svolto diverse attività presso la Soprintendenza per i Beni Culturali di Caltanissetta, città in cui vive. Ha lavorato per una casa d’Aste di Palermo, ha insegnato Arte, non trascurando mai la sua più grande passione per la pittura su tela, portando anche in mostra le sue opere. Attualmente, collabora anche con il giornale online Zarabazà.