LA FINE DELLE CLASSI SOCIALI E L’UGUAGLIANZA TRA RICCHI E POVERI (di Davide Cavaliere)
Le società, in ogni epoca storica, hanno conosciuto la presenza di ceti sociali separati, non solo fisicamente, ma anche e soprattutto culturalmente. Ogni ceto sociale possedeva un suo peculiare stile di vita, un suo linguaggio, dei suoi codici pressoché incomprensibili ai membri di un altro ceto. L’avvento della società dei consumi, con la sua pubblicità onnipervasiva e la sua televisione generalista, ha ridotto le differenze culturali tra le varie classi sociali, fino al punto omologarle nei gusti, negli stili, nelle ambizioni.
Il livellamento si è mosso verso il basso, rendendo dominante presso tutti gli strati sociali quella che Dwight MacDonald aveva chiamato Masscult, ovvero la paccottiglia della soap e dei reality. Ancora nella prima metà del Novecento, la borghesia medio-alta fruiva e generava una cultura raffinata, i cui temi dominanti erano, per profondità e complessità, incomprensibili al proletariato industriale o ai contadini. Per rendersene conto basta leggere Thomas Mann o, più modestamente, l’autobiografia di Susanna Agnelli.
L’involgarimento dei costumi avviato, come detto poc’anzi, dalla società dei consumi, unitamente alla svalutazione della cultura borghese prodotta dal Sessantotto, ha cancellato le differenze cetuali. Gli industriali, i finanzieri, i politici, i grandi imprenditori, quelli che dovrebbero essere l’élites del Paese, sono ormai indistinguibili da un qualunque tamarro di provincia arricchitosi con una catena di “compro oro”. I ceti sono scomparsi, permangono solo delle classi economicamente ben distinte, sguazzanti però nella medesima cafonaggine.
Se la borghesia del secolo scorso, ancora dotata di una “coscienza infelice”, sembrava voler emendare la sua ricchezza attraverso la cultura, nel tentativo di giustificarla agli occhi del prossimo e della storia, quella attuale sperpera, ostenta, sfoggia grossolani status symbol, manifesta astio e indifferenza nei confronti di tutto ciò che non sia immediatamente monetizzabile.
Tra un miliardario e, per esempio, un corriere sottopagato, l’unica disparità è quella economica, ma entrambi desiderano l’Iphone e la vacanza alle Maldive, il Ferrari e i follower su Instagram. Ambedue condividono (e rivendicano) una certa rozzezza culturale, un linguaggio scarnificato e una vera ossessione per il “successo” e i suoi simboli. Vivono all’interno del medesimo universo mentale, si capiscono alla perfezione, anche se sono separati da numerosi zeri. Per questa ragione, i grandi ricchi sono segretamente invidiati e apertamente ammirati.
I danarosi del presente sentono di non avere alcuna responsabilità per la loro ricchezza. La sensibilità culturale e i crucci intellettuali del loro bisnonni hanno lasciato il posto a un edonismo triviale e popolaresco. Barbara Allason ha ceduto il passo a Chiara Ferragni. Il capitalismo post-borghese è riuscito là dove il comunismo aveva fallito: creare l’uguaglianza tra i ricchi e i poveri, o almeno quella tra i loro immaginari.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
Articolo veramente geniale, su una tematica profonda.
Penso che ci sia un altro caso storico in cui si sia verificato uno scenario simile, la Roma della decadenza, in cui la nobiltà si era ormai dedicata alla trivialità da osteria e aveva perso il senso di sacralità della sua missione e dello stato.
Sappiamo tutti come è andata a finire, e ho la sensazione che la fine che farà la nostra cultura/societa/stato non sarà diversa.
L unica speranza è che nel nostro essere provinciali sino in fondo, potremo salvarci perché assisteremo alla caduta degli altri prima della nostra e potremo prendere delle contromisure (es. Francia, USA). Un po’ come lo staterello della provincia dell impero romano, che dopo la caduta fece prima a riprendersi della stessa Roma.