Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

AMORE E DITTATURA – DA PLATONE A PHILIP ROTH (di Matteo Fais) 

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I soggetti più pericolosi in amore, uomini o donne che siano, sono solitamente anche politicamente isterici, radicali ed estremisti. I loro sentimenti, come la fede ideologica, hanno tratti terroristici. Dittatori in amore, dittatori nell’agone. E non è un caso!

Non è un caso neppure che uno di quelli che viene considerato padre del concetto di amore in Occidente, Platone, sia anche tra i più inquietanti teorici del totalitarismo. Dal Simposio a La Repubblica, il salto è breve e, non casualmente, mortale.

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È il filosofo ateniese a mettere in bocca, alla maschera di Aristofane, il mito dell’androgino, l’essere dai due sessi in cui maschio e femmina sono un’unione totale, priva di fratture, in cui non sussiste differenza, alterità, distinzione. L’immagine è certo affascinante, ma il concetto che ha veicolato, da allora fino a oggi, è la causa di un male oramai radicato, un cancro nel cuore dell’uomo occidentale.

Essere Uno è l’idea chiave, la più temibile. Il legame è senza via di fuga, poiché ontologico. Si esiste solo come parte di un qualcosa, senza cui non si è mai completi, ma eternamente mancanti. Esattamente come la società teorizzata dall’autore, in cui ognuno è incastrato e condannato per sua essenza a un ruolo, senza poter conoscere alcuna caduta o ascesa, oscillazione o fluttuazione. E solo entro tale ordine ognuno trova la propria collocazione non come singolo, ma quale parte di un mastodontico ingranaggio.

Non si creda, a ogni modo, che tale visione abiti soltanto nella mente maschile. La maggior parte delle femmine, con la loro perversa idea di esclusività amorosa e idillio, divengono delle persecutrici, o finiscono per dipendere dai propri aguzzini, e saltano di partner in partner, proprio perché spaventate dalla possibilità di non incontrare questa unione maniacale, morbosa, entro la quale essere “finalmente donna”, cioè moglie, madre, parte di un insieme più ampio. Queste hanno bisogno di un compagno eternamente presente, perché un soggetto indipendente le metterebbe al cospetto della propria incapacità di vivere in autonomia. La connessione, per loro, o è simbiotica e malata, oppure non è, perché queste esistono solo nella comunione che uccide ogni dimensione privata. Loro non cercano un uomo, bensì un Führer.

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Lo spazio dell’autonomia spaventa tal genere di persone, politicamente e sentimentalmente, perché è anche quello della libertà e la libertà è finanche possibilità del no, del dissenso, della presa di distanza, della negazione dell’armonia programmata. Non è un caso che costoro siano affascinati da immagini e figure forti, sovente spaventose, come quella di un popolo unito intorno al proprio leader, la comunità ideale eternamente coesa, il Capo che tutti controlla e dirige. 

Si ama l’unione assoluta come si odia la libertà, perché questa ha in sé il germe della rottura: può spezzare il vincolo amoroso come la coesione dell’organismo comunitario.

Il problema è che non esiste vero amore se non nell’indipendenza. Se una donna è destinata a me, se non mi sceglie ogni giorno, io la ho come possiedo questo computer con cui scrivo. Ella è oggetto tra gli oggetti, acquistabile con una promessa di stabilità, di un tetto sopra la testa e il pollo arrosto la domenica. Ma l’amore è una libertà che viene scelta da un’altra libertà

Non quindi ricostruzione di un’unità originaria, la famosa altra parte della mela, ma un’alterità autonoma che ne ricerca un’altra e così scopre la possibilità di oltrepassarsi. Parallelamente: non un uomo che non esiste senza la comunità, ma un uomo che ne costruisce una con il suo contributo di singolo e, in essa, si realizza a un livello superiore. Perciò, in un regime sano, si vota, ma non si rimette la propria autonomia a un qualche leader.

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Philip Roth, notoriamente uno scrittore ben lontano da simpatie comuniste, fa dire al personaggio del professor Kepesh, in L’animale morente: “L’unica ossessione che vogliono tutti: l’’amore’. Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due”.

Ecco, dunque, come inquadrare il sentimento: più che un ritorno a una malsana promiscuità originaria, uno scoprire nella propria indipendenza di poter andare oltre, vedendo improvvisamente l’altro come un di più che mi viene a mancare, perché si aggiunge a me. Solo due che siano già individui e che tengano dal profondo alla propria unicità possono incontrarsi realmente, così come solo dei cittadini che rifiutino coercizione e privazione di diritti possono dirsi Nazione, patria, comunità. 

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.

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