IL VERO VOLTO DI STALIN NEL LIBRO DELLO SCRITTORE MARTIN AMIS (di Davide Cavaliere)
Quando uscì, nel lontano 2002, Koba il terribile. Una risata e venti milioni di morti, il libro di Martin Amis su Stalin venne accolto con scetticismo e freddezza dagli storici di professione. L’eccellente Anne Applebaum, autrice di un poderoso studio sui gulag, lo definì come un resoconto “sensazionalistico”, incapace di affrontare “le dimensioni e la varietà dei campi”. Orlando Figes, un altro severo storico, pressoché incapace di cogliere le provocazioni politiche che Amis seminò nel testo, lo accusò di “egocentrismo” e “grossolana sensibilità”.
Gli specialisti della materia non si resero conto che l’autore non intese scrivere un saggio storiografico – infatti impiegò un numero limitato, sebbene ottimamente selezionato, di fonti -, bensì mettere in luce gli orrori dello stalinismo e, attraverso questi, domandarsi come sia stato possibile che un simile regime abbia alimentato tante speranze e ideali in Occidente.
L’autore muove dalla sua storia familiare, più precisamente da suo padre, lo scrittore di sentimenti conservatori Kingsley Amis, che in gioventù militò nelle file del Partito Comunista Britannico. Il figlio, ironicamente, trova una sola spiegazione a quella prima scelta politica del genitore: “La storia vera – la realtà – era del tutto incredibile”.
La ricostruzione che Martin Amis fa del terrore rivoluzionario da Lenin a Stalin, senza mai dimenticare d’includere Trockij (“un bastardo assassino e un lurido bugiardo”), è talmente sconvolgente da togliere il fiato. Gli orrori e le crudeltà della rivoluzione bolscevica, che l’autore mette in fila, senza risparmiare al lettore i dettagli più stomachevoli, restituiscono lo spirito demoniaco e terribile del comunismo meglio di qualunque saggio storico.
Stalin è presentato in tutta la sua paranoica crudeltà. Il sorriso del cannibale, il berretto da parata, i baffi da rivoluzionario, l’odio spietato nei confronti dei suoi compatrioti georgiani, il suo amore infantile per i Western. Attorno a lui i membri del Presidium del Comitato Centrale del PCUS, una banda di gangster politici selezionati dal faraone bolscevico per il loro infinito servilismo e il loro zelo nell’esecuzione di ordini criminali: il maniaco sessuale Beria, il grottesco Bulganin e poi Mikoyan, Malenkov, Kaganovich e Suslov. Soddisfare il dittatore era il loro scopo esistenziale. Lo adoravano ed erano terrorizzati da lui. Gli inquilini avevano le tipiche “facce da Cremlino”, livide e pallide, per via delle notti insonni trascorse nella paura.
Certo, la ricostruzione di Amis presenta qualche imprecisione e qualche errore, ma non al punto tale da alterare o distorcere gli eventi. Dire, come fece Anne Applebaum, che si tratti di una “confusa interpretazione della storia intellettuale sia sovietica che occidentale”, significa fare un torto al libro, uno dei pochi che affronta di petto la sinistra fascinazione dei progressisti occidentali per Stalin e lo Stato totalitario. Il libro, non a caso, ha incontrato l’apprezzamento di David Horowitz, il comunista pentito divenuto una delle voci più influenti del conservatorismo americano.
Alla domanda su quanti intellettuali abbiano creduto alla menzogna socialista e, quindi, si siano compromessi con la schiavitù, la morte e la miseria sociale generalizzata di centinaia di milioni di cittadini socialisti, la risposta di Martin Amis è l’unica possibile: “La stragrande maggioranza degli intellettuali, ovunque”. Lo scrittore, inoltre, rievoca una serata trascorsa alla Conway Hall di Londra: il giornalista di sinistra Christopher Hitchens, ricordando il suo passato, disse di conoscere bene la Camera dei Comuni, per averci trascorso “molte serate” con “molti vecchi compagni”. Il pubblico reagì con risate e ammiccamenti. Amis si chiese, invece, come avrebbe risposto il pubblico se Hitchens avesse parlato di qualche “vecchia camicia nera”.
In un passo inquietante e molto criticato, soprattutto da Orlando Figes, Amis racconta che una notte, sua figlia di sei mesi scoppiò in un pianto terribile e continuo, spaventato dalla sua incapacità di calmare la bambina, quelle grida gli fecero immaginare “suoni degni delle più profonde celle della Butyrka”. Da allora, “Butyrka”, nome di una prigione sovietica, con tutte le sue varianti, “Butyrkina, Butyrketta”, divenne un soprannome per sua figlia. Amis, così come nessun altro membro della sua famiglia, avrebbe mai soprannominato la piccola “Treblinka”, ma nessuno si è mai posto il problema di chiamarla, seppur teneramente, “Butyrka”.
Tale episodio, all’apparenza marginale, rende bene l’idea di quanto il comunismo goda ancora, persino per coloro che ne conoscono bene la storia, di un pregiudizio positivo. I nomi di “Kolyma” e “Vorkuta” non suscitano il medesimo moto di orrore generato da “Auschwitz”.
È noto che Stalin disse “una singola morte è una tragedia, un milione di morti una statistica”. I milioni di morti accumulati dall’uomo d’acciaio e dai suoi predecessori (e successori) rimarrebbero astratte cifre se non fosse possibile connetterli con singole morti personali. Per l’autore, questa morte, è soprattutto quella della sorella Sally. Attraverso un lutto personale, cercando le parole adatte per esprimere al meglio il senso di vuoto lasciato da un caro consegnato al nulla, Amis comprende l’irreparabilità del dolore inflitto dal totalitarismo sovietico. La sofferenza che uomini come Stalin hanno inflitto a intere famiglie e generazioni. I morti, così, smettono di essere numeri e si svegliano tra i vivi, assumendo un volto particolare che li somma tutti quanti.
Amis riesce là dove gli storici di professione, troppo presi dalle loro fonti e dalle loro note, spesso, falliscono: far vivere la storia nell’esistenza quotidiana di ognuno, mettendola in relazione (una relazione per certi versi fantasmatica e spettrale) con la nostra vita.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.