LA PROPAGANDA WOKE FUNZIONA SOLO PERCHÉ HA UN FONDO DI VERITÀ (di Matteo Fais)
È un dato: se senti parlare la maggior parte dei conservatori, diventi un progressista per reazione. Il grande successo della cultura woke è determinata in massima parte dai suoi oppositori. Il motivo? L’irragionevolezza, l’isterica reazione che li porta a essere l’altra faccia della medaglia dei loro avversari. Ti mettono paura.
Se alla famosa riforma del Diritto di Famiglia del ’75, alla liberazione sessuale e a i tanti eccessi odierni, la risposta è auspicare l’avvento dell’Islam al potere, lo stigma per qualsiasi donna che rifiuti il matrimonio e il ruolo di madre, la verginità prematrimoniale come lasciapassare all’altare, è chiaro che una persona sana di mente – quindi che non sia cresciuta in un inquietante Sud fatto di lenzuola sporche di sangue appese al balcone – scelga per il meno peggio.
Diverso sarebbe se, per esempio, si parlasse di ridiscutere la Riforma che ha sbilanciato tutto a favore della donna, ponendo l’uomo in una situazione di sudditanza, di fatto creando una nuova disuguaglianza. Insomma in medio stat virtus, ma troppi sembrano non afferrare il concetto, preferendo un estremismo uguale e contrario.
È importante comprendere che la forza del wokism sta nel prendere le mosse, in molti casi, da istanze legittime, per poi giungere al parossismo più ridicolo. Però, questo è sicuro, la sua base valoriale non è del tutto folle. Solo le successive implicazioni lo sono. Per esempio, è giustissimo non essere razzisti, non avere il mercato degli schiavi negri da comprare per le piantagioni – oggi, abbiamo risolto, ci vanno loro con i caporali – ed è quindi sacrosanto da parte di questi combattere una simile piaga. Ciò, a ogni modo, non può comportare il sorvolare sul fatto che il grosso della criminalità è in mano a uomini di colore, che la maggior parte degli stupri sono perpetrati da loro. Va da sé che la soluzione non può essere glorificare il Ku Klux Klan – tanto più che sappiamo bene dalla Storia della sua violenza.
Similmente, dicasi per gli omosessuali e i loro diritti. Sempre, comunque, ricordando che ciò non può voler dire ammettere uteri in affitto, o l’idea che anche le donne possano avere il pene, come si vorrebbe far credere.
Ecco spiegato il grande fascino che il progressismo suscita presso le masse. Apparentemente esso vorrebbe liberare da ancestrali e terribili retaggi del passato che hanno portato solo orrore e sofferenza per tante persone, ma poi si spinge troppo oltre.
Non è un caso che sia una diretta derivazione del comunismo e della sua vocazione palingenetica – perché, volenti o nolenti, questo è: marxismo culturale creato da marxisti, come sono anche, per dire, i Black Lives Matter. Come in tutti i regimi rossi, l’idea che viene spacciata è apparentemente encomiabile: appianare le ingiuste disuguaglianze ma poi, a parte il continuare a sussistere di queste nella differenza tra nomenclatura e popolo, quasi mai viene spiegato che ciò avverrà a mezzo della privazione indiscriminata di qualsiasi libertà individuale e della sottomissione senza appello a una mastodontica macchina statale che si insinua in ogni aspetto della propria esistenza annichilendo la soggettività. Per farla breve, si sa che la via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Qual è dunque la soluzione al wokism? Evitare l’eccesso. Il mondo è cambiato: la caccia e l’accanimento contro l’omosessuale è da manicomio – oltre a celare, sovente, un grumo represso di oscuri desideri –, le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini e covare una paura densa di paranoia verso le altre etnie non ha alcun senso, soprattutto se queste venissero occidentalizzate. Chi pensa il contrario ha solo bisogno di un bravo psichiatra e di qualche pastiglia ben dosata. Per il resto, servirebbe unicamente evitare di prestare il fianco cercando di dirla addirittura più grossa di quella degli avversari. In due parole, essere ragionevoli.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.