ABITUARSI A VIVERE IN UNA SOCIETÀ COMPLESSA (di Matteo Fais)
“Il tramonto dell’Occidente”, “Non c’è più religione, signora mia”, “Questi ragazzini che pensano solo alla discoteca e si drogano”, “Ma se lo immagina che mia nipote è vegana e non mangia la carne”: sì, d’accordo, tutte critiche giustissime. Quale sarebbe l’alternativa?
Se provi a intervistare uno qualunque tra coloro che tuonano contro il degrado dilagante, ti renderai conto che, in fin dei conti, ciò che sognano è una variazione della situazione distopica descritta in 1984 di George Orwell. Una società in cui ci si veste decentemente, la mensa è uguale per tutti e contempla solo un menù rigidamente scandito per tutta la settimana, il vino e gli alcolici sono banditi, se non nella forma di un bicchiere a pasto – perché comunque la scienza dice che è un antiossidante –, le sostanze stupefacenti non fanno semplicemente male, ma per la detenzione si finisce direttamente in carcere, ecc. Una prigione, insomma, ma senza rapporti omosessuali – perché quelli sono il male.
Di cosa ha paura, insomma, il trombone di turno? Sostanzialmente, della complessità. Perché, certo, la democrazia è angosciante: non posso imporre agli altri la mia visione e questi, con il loro comportamento, possono negare i miei valori. Io sono per la verginità e le ragazze fanno le troie. Io sono per la divisa uguale per tutti che ci equipara e questi vestono con i jeans strappati. Io sono per la famiglia e loro non ci pensano neppure a mettere al mondo dei figli.
La tolleranza e il rispetto richiedono fatica, provocano smarrimento esistenziale. Mi costringono a pensare che io non sia il centro del mondo, il parametro a cui questo dovrebbe conformarsi per essere nel giusto. E, poi, non avere più un insieme di valori unico e certo, spesso incarnato da una figura di leader, significa dover accettare di autodisciplinarsi, quando tutto sommato l’infanzia è il periodo più felice, perché c’è sempre qualcuno a scegliere in tua vece – in verità quasi nessuno vuole essere Edipo, e lui per primo si acceca, mentre quasi tutti preferiscono identificarsi con la figura paterna per superare l’ansia.
Non è un caso che tante donne, vittime di maniaci, anche quando si sono trovate nella situazione di poter fuggire, abbiano vissuto un conflitto che le ha paralizzate. La libertà concessa è sempre meno perturbante di quella che si deve prendere a costo della propria stessa vita. E non per niente esiste un potere così pervasivo, che entra nelle nostre esistenze e ci condiziona, come accaduto con il green pass e la vaccinazione obbligatoria. Il potere non è mai solo verticale, ma sempre anche orizzontale. Siamo noi a sostenerlo, perché in fondo ci fa comodo che qualcuno ci dica cosa fare con formule praticamente coercitive.
La tribù è esistita perché l’uomo ha paura della propria individualità, di dover prendere delle scelte, di essere, in una parola, condannato alla decisione morale. Perciò non avviene alcuna rivoluzione, perché la gente ha paura di una eventuale fase di semi anarchia, sapendo di non riuscire a controllarsi. Perché, nel profondo del proprio sé sa che probabilmente capiterebbe quanto succede nel libro di Saramago, Cecità, in cui, al crollo della struttura sociale, segue il caos e la sopraffazione.
Per quanto la società liberale non sia a quel livello – e, anzi, oramai, nelle sue declinazioni reali risulti il regno della norma – anch’essa fa paura, perché dà troppe poche indicazioni comportamentali. Non devi attentare alla vita altrui e, più in generale, all’integrità fisica delle persone, al patrimonio di queste, per il resto, sei tu a dover scegliere come essere e cosa fare, sapendo bene che ogni tuo gesto sottointende una visione morale a cui potrai essere costantemente inchiodato – se sei sessualmente promiscuo, non puoi condannare gli altri per i loro facili costumi.
La complessità è la vera sfida del nostro tempo, il rispetto il metodo. È democrazia anche quando non mi piace, anche se la Ferragni ha milioni di follower e nessuno sa chi sia Vincenzo Cardarelli. Poi, si può criticare – è la bellezza del mondo libero. Ma, in ultimo, giusto o sbagliato che sia, trionfa solo chi è stato scelto dalle masse. Se la gente vuole Barabba, così sia. Anche Cristo non si sarebbe opposto al finire in croce.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.