I WOKE, DA BRAVI SINISTRI ANTILIBERALI, CHIEDONO A GRAN VOCE LA CENSURA SUI SOCIAL (di Matteo Fais)
La differenza tra liberal e liberali? Beh, è nei fatti. I primi non sono liberali, ma woke, cioè una diretta emanazione di una Sinistra simil maoista. La loro è una rivoluzione culturale che vuole cancellare con la forza la dissidenza per imporre la propria novità, esattamente come avvenne in Cina in illo tempore.
La storia è molto semplice, la versione attuale di ciò che fu in passato. 250 star hollywoodiane hanno scritto ai principali amministratori di social network (Mark Zuckerberg, Elon Musk, Neal Mohan e Shou Zi Chew) chiedendo più censura contro i contenuti anti LGBTQ+ (https://glaad.org/lgbtq-celebrities-allies-letter-facebook-instagram-youtube-tiktok-twitter-anti-trans-hate-disinformation/). In sostanza? Se dici male di tale comunità, sei out.
Intendiamoci, troppa gente mette in giro voci non veritiere su complotti, affinità non provate tra il gruppo internazionale in questione e una malcelata volontà di sdoganare la pedofilia, secondo presunte agende di Davos e altre minchiate varie. Va da sé che chi non porta prove, ma solo calunnie, non merita di partecipare a un regolare dibattito democratico.
Ma… Ma… Ma… Quali sono i rischi della censura, soprattutto in un mondo in cui la Sinistra detiene fondamentalmente l’egemonia? Inutile precisarlo. Mettere in mano il controllo delle idee che possono o meno circolare a un gruppo antiliberale è come affidare la diffusione della verità ai giornali sotto il regime dell’Unione Sovietica.
Il wokism e la cancel culture sono realtà che stanno unicamente andando a nuocere al regolare e sano dibattito all’interno delle democrazie liberali. Tale è la loro capacità di turlupinare le masse da essere riusciti a figurare come semplici movimenti libertari che aspirano unicamente a presentare le sacrosante istanze di una minoranza vessata.
In verità, come qualunque osservatore sano di mente sa, la cultura woke non condivide niente delle aspirazioni alla libertà di pensiero e di espressione. Prova ne sia che ogni loro manifestazione sociale è stata segnata dalla richiesta di proibizioni, interventi censori, e pretese di porre museruole sulla bocca di qualcuno.
Anche l’ultimo caso lo conferma: il punto non è richiedere, com’è giusto che sia, la non diffusione di informazioni false sul conto di qualcuno, ma una censura preventiva. Bisognerebbe, casomai, creare un controllo incrociato, di due organismi, l’uno indipendente dall’altro, capaci di distinguere tra controinformazione, opinione e bullismo.
Certamente, non deve essere permesso incitare all’aggressione, o più in generale alla violenza, ma non si può neppure permettere quanto avvenuto in tempo di covid, o impedire di dire, come capita, che in determinate città la malavita è oramai costituita unicamente da immigrati. Questa non è libertà, ma menzogna sovietica.
Naturalmente, sarebbe importante rendere responsabile, a livello social, ogni persona dei contenuti che pubblica: se dico che esiste una criminalità di colore a Milano – cosa verissima e confermata –, non posso essere censurato come chi sostiene, senza addurre alcuna prova, che i gay vorrebbero rendere la pedofilia un fatto socialmente accettato.
Alla fine, le prove sono prove e le insinuazioni sono insinuazioni. Qualsiasi persona non ideologizzata sa riconoscerle. Evidentemente, quasi nessuno di coloro che potrebbe farlo è di Sinistra. Anche questo è un fatto.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.