BISOGNEREBBE REGOLAMENTARE I SOCIAL: CONTRO I FAKE E A FAVORE DELLA VERA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE (di Matteo Fais)
I social sono un universo malato. Lo sono in pratica, non come idea. La possibilità di una comunicazione globale è sensazionale, la vera e più grande opportunità del nuovo universo tecnologico – non la sola, ma sicuramente una positiva via democratica.
Sta di fatto che nessuno spazio, data la natura dell’essere umano, può essere abbandonato a sé stesso. Un minimo di regole di civile convivenza ci vogliono ovunque, altrimenti non è neppure l’anarchia, ma il caos e la distruzione. Se la tua proprietà non è sicura, se chiunque può entrare in casa tua, aggredirti senza alcun motivo, o dire male di te per puro gusto sadico, è la fine.
In ultimo, questi maledetti social andranno regolamentati. Come qualsiasi realtà, divenuta troppo ampia, ha bisogno di principi chiari e trasparenti, accessibili a tutti, che la muovano. È assurdo che possano esserci tutti questi profili fake, senza un referente ufficiale e con un seguito pari a quello di un giornale, a cui è concesso di mettere alla berlina, insultare, diffondere informazioni fasulle sul conto di privati cittadini. Sarebbe come stabilire che in una determinata area della città non valgono le comuni regole che vincolano l’agire in tutti gli altri quartieri.
Al contempo, è folle che i social possano censurare, a propria discrezione e senza fornire alcuna motivazione, contenuti di qualsivoglia natura, addirittura appellandosi a una semplice parolaccia, sorvolando su altri che incitano alla violenza contro singoli o gruppi particolari.
Giustamente Trump voleva normare il settore, sostenendo la tesi che la scelta di pubblicare o meno determinati contenuti fosse equiparabile alla condizione di editore e non a quella di semplice piattaforma – cosa giustissima.
Nasce peraltro spontaneo il sospetto che troppe pagine che trionfano, per esempio su Facebook, siano eterodirette secondo la formula dell’esperimento sociale e, per tal motivo, malgrado le segnalazioni, non subiscano restrizioni. Se un qualunque Gino Brambilla dice male della Boldrini, il suo spazio viene oscurato, sottoposto a limitazioni, messo in shadow ban. Altri insultano e inneggiano all’odio senza che migliaia di segnalazioni abbiano effetto.
Regolamentare Facebook e gli altri social network non è censura, anzi è un modo per garantire la vera libertà di espressione – che ha sempre come controparte la responsabilità di chi scrive. Altrimenti chi può garantirti, quando esprimi un’opinione che qualcuno, in accordo con il social stesso, non ti crei uno stress tale da indurti a mollare il colpo, magari mettendo in giro informazioni false sul tuo conto?
Se è pur vero, e in parte ragionevole, che qualcuno non voglia far conoscere la propria identità, anche per fondati motivi personali – là fuori qualcuno lo cerca –, è altresì vero che si rende necessaria la segnalazione e registrazione di sé stessi, a tutela di tutti. Se qualcuno ha detto qualcosa sul mio conto, io devo essere messo nella condizione di potermi rivalere immediatamente sul piano legale, senza dover interpellare la Polizia Postale o altri organismi competenti.
Il momento è arrivato. I social esistono da più di un decennio e non possono continuare a essere un Far West, altrimenti sopravviverà solo chi ha la pistola dalla parte dell’impugnatura.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.