BERLUSCONI, UN ANARCHICO A MILANO (di Alex Vön Punk)
La scomparsa di Silvio Berlusconi è quella di un protagonista indiscusso, nel bene e nel male, della politica italiana. Una delle accuse rivolte al Cavaliere consiste nel crederlo responsabile della decadenza della cultura e della società italiana.
Chi muove questo j’accuse, è convinto che la massa sia costituita da una marea di automi incapaci di pensare e di scegliere in modo razionale, dimenticando che siamo noi ad avere il telecomando in mano, siamo noi che possiamo decidere se cambiare canale, se spegnere il televisore, cosa acquistare e come rapportarci al mondo che ci circonda.
In quest’ottica B. non ha fatto altro che provare a lanciare un sasso nello stagno e la gente ha deciso di ascoltarlo. Sarebbe anche interessante chiedersi quale sarebbe l’alternativa alla libertà di poter scegliere. Viene da pensare che per alcuni si tratti delle reti unificate sotto la direzione del Partito Unico, il modello nord coreano per intenderci.
Non mi interessa qui difendere la tv spazzatura italiana, quanto più porre l’attenzione sulla possibilità di sottrarsi a questa immondizia. In realtà B. ha semplicemente cavalcato l’onda, ma questa marea era un processo già in essere e non si può negare che, se non fosse stato per lui, sarebbe arrivato qualcun altro a farne le veci.
In politica, quello che va rimproverato al leader di Arcore è di aver tradito le premesse liberali con cui scese in campo e, anziché aver allentato la presa dello Stato, essersi collocato su un fronte conservatore, a tratti reazionario, negando quello spirito eroico del liberalismo che lo accomuna alle grandi tradizioni rivoluzionarie, rafforzando la partitocrazia e non aumentando gli spazi di autonomia individuale – non è un caso che, all’inizio della carriera politica, riuscii ad attirarsi anche le simpatie dei radicali.
Probabilmente la sua più grande vittoria è stata il monopolizzare la discussione, polarizzando lo scontro su sé stesso, con una Sinistra incapace di concepire una strategia al di là di lui, fossilizzata su un antiberlusconismo amorfo e castrante.
Dal punto di vista umano, si può pensare che fosse una sorta di dandy che ha messo in discussione i cliché dominanti e ha frantumato il politically correct, pensiamo a quel “culona” ad Angela Merkel o l’“abbronzato” a Obama. Fottendosene della morale e del buon costume, ha detto la sua in modo totalmente libero, risultando a tratti persino cabarettistico, amante della bella vita e delle belle donne – è stato fino all’ultimo un don Giovanni, passionario dell’amore, in ogni sua sfaccettatura, con un approccio totalmente disinibito.
Probabilmente è stato odiato e osteggiato per la sua libertà d’azione individuale, che spesso lo ha portato a fare dichiarazioni e azioni dirompenti, dando scacco matto agli avversari. Nei tempi d’oro, bastava una sua dichiarazione, una sua discesa per le strade, per far schizzare i sondaggi.
La verità è che aveva capito gli Italiani più dei suoi detrattori: non ci ha plasmati, ma si è plasmato egli stesso sui nostri bassi istinti, sul desiderio che in segreto covavamo. Perché la realtà è che non ci ha dato niente che noi non volessimo, ci ha servito su un piatto d’argento ciò che desideravamo. Siamo stati noi a creare il Berlusca.
Adesso che se ne è andato, si può pensare ciò che si vuole del suo operato, quello che non può essere messo in discussione è che sia stato una spanna sopra i suoi avversari e persino sopra i suoi alleati. Ci lascia in mano ai suoi eredi, che sono infinitamente peggiori e meno divertenti di lui.
Alex Vön Punk
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L’AUTORE
Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelance, agitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Libertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del Reddito di Base Universale.
Bravo.